Prato
Era il gioco che aiutava la conoscenza reciproca. Lo si faceva tra bambini e, un po’ più grandicelli, serviva a tastare il terreno quando s’avvertiva il fremito d’una cotta.
La fila delle domande era lunghissima, dalle letture, ai sapori, dalla musica ai luoghi visitati, agli sport praticati … ma in mezzo c’era sempre: qual è il colore che preferisci?
Io mi ero incaponito sul verde. Un colore che pochi consideravano, forse perché ritenuto troppo comune, quasi banale. Verde come l’erba … roba da mucche o da caprette. Stare al verde … non è dignitoso. E poi nei film americani c’era sempre un riferimento ai biglietti verdi, cioè ai dollari, e l’associarsi al denaro era considerato poco fine … burino, avrebbero detto i romani.
Vuoi mettere il rosso della passione? O l’azzurro del cielo? Il blu del mare, il rosa delle pesche e il giallo oro del sole? Andava bene anche il viola, che pure ha un che di penitenziale, ma è una tinta decisa e delicata insieme, quella del fiore più nascosto e più profumato, stupendo nella sua semplicità.
Io no. Io amavo il verde. Nel mio guardaroba dominava quel colore. Un presagio: sarei finito a vivere nei boschi, tra cervi e caprioli, o più in su, nelle praterie d’alta quota, a fischiare con le marmotte.
Due giorni fa, al mercatino, alcune signore discutevano davanti al banco d’un merciaio. Quale colore scegliere per la maglia d’un bambino? Decisione delicata, che si è protratta per diversi minuti. È intervenuta una terza signora, che ha citato addirittura la nonna, che a questo riguardo diceva: pensa al prato … nel verde dell’erba sta bene il colore d’ogni possibile fiore!
Che gioia! Che commozione!
Tardiva, ma mi è stata data la giusta motivazione alla mia scelta da bambino, o d’adolescente.
Franco
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