Surrogato
Stava appeso in cucina, a Villabalzana, sopra al fornello a legna.
Alle mie domande su quel ferro annerito, la mamma e la Gemma rispondevano che serviva per abbrustolire i semi. Ah, dicevo io, allora ci posso fare i pop corn? Le donne ridevano; ci vuole il fuoco, le braci, la cenere calda, tanto tempo, e tantissima pazienza ed attenzione. Non mi sembrava che stessero rievocando ricordi piacevoli, ed io non insistevo.
Quell’attrezzo mi è tornato in mente grazie ai romanzi di Maurizio De Giovanni. Egli racconta che al tempo del commissario Ricciardi, cioè negli anni ’30, al posto della polvere di caffè si usava un surrogato ottenuto dai semi tostati e macinati di frumento, orzo o mais.
Ho capito a cosa serviva l’attrezzo conservato a Villabalzana, fatto di due semisfere di ferro saldate a due lunghi manici e chiuse da un gancio. La “palla”, riempita con la giusta quantità di semi, si metteva ad arroventare sul fuoco, o tra le braci.
Anche la Gemma mi aveva raccontato che in tempo di guerra, ma anche prima, non si trovava il caffè nelle botteghe; il papà, rischiando, a volte ne recuperava un po’ al mercato nero. Così ci si arrangiava col surrogato: si macinavano soprattutto i semi di frumento o di mais ben abbrustoliti con quella sferra di ferro e poi si preparava il finto caffè con la napoletana, o facendo bollire la polvere nella cucuma.
Si usava il surrogato nel caffellatte del mattino, oppure per chiudere il pranzo, ma anche la cena, tanto non c’era caffeina in quella brodaglia.
In autunno andavo a raccogliere le ghiande nel bosco - raccontava la Gemma - così portavo a spasso i bambini e tornavo a casa col caffè!
Rideva, la Gemma, ma di sicuro la mamma non era proprio contenta del surrogato.
Lei, in Brasile, il caffè deve averlo bevuto particolarmente saporito, e profumato.
Altro che ghiande rubate ai maiali!
Franco
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