Due ottobre
Due ottobre, giovedì. Pochi minuti alle otto.
Era il giorno del mio compleanno, e non ero felice.
Quel giorno cominciava la scuola.
Avevo il muso lungo. Ma non piangevo come molti altri bambini che, come me, affrontavano la novità: la prima elementare.
C’erano due scalinate di accesso alla scuola, una per i bambini, l’altra per le bambine, che entravano nel giardino da un cancello diverso da quello destinato ai maschi.
Gli insegnanti facevano l’appello, e i bambini più grandi correvano alla loro scalinata gridando “presente”. I genitori che li avevano accompagnati si allontanavano subito per tornare a casa, o per andare al lavoro.
Arrivò il turno delle prime classi. C’era silenzio; solo qualche residuo singhiozzo, qualche sommesso bisbiglio delle mamme.
Una signora magra, coi capelli bianchi e col viso severo, cominciò a parlare ai genitori. Non capivo il senso delle sue parole, e nemmeno m’interessavano. Guardavo gli altri bambini, cercando di individuare qualche viso conosciuto. Un paio li avevo incontrati in chiesa, e all’oratorio. Gi altri mi erano del tutto estranei.
“Classe Prima A” - disse la signora magra e severa - Gli alunni che chiamerò si metteranno in fila qua sotto, svelti e in silenzio. Sono assegnati alla maestra Maria Moretti. La maestra aveva l’aspetto di una nonna, e sperai d’essere chiamato in quella classe.
La mamma contava i bambini che si avvicinavano alla scala. Arrivò a 23, e fu il mio turno: Viola, disse la direttrice, Franco Viola. La Gemma mi spinse in avanti, prevenendo ogni mio possibile tentennamento. Impettito continuai a camminare fino al gruppo dei miei compagni.
Un bisbiglio si levò dal gruppo delle mamme: “ … che stangone - sentii dire da una signora - sarà ripetente! …”. Avvampai di vergogna. E mi venne da piangere. “Ma dai - disse un’altra mamma - non li conosci i Viola? I suoi fratelli arrivano a due metri!”.
Cominciò proprio così: promosso grazie ai miei fratelli!
Franco
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