Prima


Mi capita sempre così. 

Quando provo una forte emozione mi si ferma il respiro, e il cuore perde il suo ritmo. 

È solo un attimo di vita sospesa, ma in quell’istante mi pare di rivedere tutto il mio passato, i turbamenti provati, con gioia o con dispiacere.

Poi, a poco a poco, torno al presente; è come se nulla fosse accaduto, anche se sento che sto rielaborando la novità e che le sto facendo spazio per collocarla al posto giusto nell’indice che scandisce i miei ricordi.


Tutto questo per una foto. Mi è arrivata per posta, inviata da una nipote. 

Mi sono chiesto per quale motivo avesse lei quella immagine che riguarda solo me e non dovrebbe interessare a nessun altro. 

Ora però sento solo il bisogno di tuffarmi in quella fotografia e di lasciarmi trascinare nel gorgo dei ricordi che mi inghiotte, e mi restituisce brandelli di vita che sanno quasi di storia, tanto sono lontani. 


Conto i bambini. Sono ventitré. Mi pareva che fossimo molti di più, in classe, alle elementari. Ma che anno era? Quello non riesco a ricordarlo. Però gli scolari non portano ancora sul grembiule il segno che indica l’anno di frequenza. Ricordo che era un segno bianco, cucito sul petto e su di una spalla. Cifre latine, da I a V, senza alcun altra lettera che indicasse la sezione. 

Se manca quel segno, forse vuol dire che eravamo in prima. 

La prima elementare, dio mio … millenovecentocinquantadue. Settantuno anni fa.


Studio la foto … qualche viso lo ricordo, con emozione e con nostalgia. 

Io sono il secondo da destra, in alto. E gli altri?

Mi rendo subito conto che devo scrivere qualcosa, almeno un appunto, per non dimenticare. 

Dimenticare è un po’ come morire, mi diceva il papà. 

Aveva ragione; me ne rendo conto ora, dopo trenta, quarant’anni che m’ha confidato quel suo pensiero … tanti ne sono passati!


Franco




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