Rimedi


Terribile! Mi tornano in mente racconti terribili fatti dalla mamma o dalla Gemma. Qualche volta anche dal papà.

Ne riporto uno su tutti, che spesso veniva riproposto senza varianti dalla Gemma. 

La povertà significava, per molte famiglie, l’impossibilità di accedere alle cure mediche essenziali. Ci si arrangiava come si poteva. Immaginate una banale ferita alla mano. Se la ferita era profonda, bisognava disinfettarla; a malincuore allora si usava il vino, oppure l’aceto: insomma, si faceva ricorso a quel po’ di alcol o di acido acetico che c’era in casa, nella convinzione che il bruciore fosse segno che il rimedio funzionava.  

Pur sapendo nulla sull’azione battericida dell’ammoniaca, nei caso di ferite più importanti si faceva ricorso alla pipì delle vacche. Si aspettava nella stalla il momento propizio e subito si metteva la parte ferita sotto lo scroscio: ammoniaca fresca, pronta all’uso. La Gemma non mi ha mai detto se la pipì di vacca venisse raccolta per ripetere più tardi l’applicazione; non credo, visto che le vacche erano lì, disponibili, nella stalla accanto alla porta di casa.

Nei casi più gravi si faceva ricorso anche alle ragnatele, le scarpìe, come si dice in Veneto, con un termine che suona come il nome commerciale di una medicina! Le scarpìe più belle ed abbondanti si trovavano ancora nelle stalle. Per guarire bastava avvolgere le ragnatele intorno alla parte ferita, anche se sanguinante! Qualcuno oggi direbbe che tutto sommato non era sbagliato: infatti, da dove Fleming ha estratto il Penicillum, se non dalla muffa, la prima fabbrica naturale di Penicillina?

Ecco però l’episodio terrificante. Una vecchietta, che viveva nella strada in cui abitava la Gemma, a Chiampo, era bravissima a cavare i denti; usava una pinza fatta chissà come e da chi, forse un residuato della Grande Guerra, di cui Chiampo era stato paese di retrovia. Fece storia il caso di un molare molto ostinato, un grosso dente cariato che non voleva saperne di venir fuori dal suo alveolo. Pensa e ripensa, la vecchia trovò la soluzione! Tolse il proiettile da una cartuccia residuato di guerra, recuperò la cordite, cioè la polvere esplosiva, e ne pressò un po’ dentro la carie. 

Poi, col ferro rovente della stufa … beh, lascio a voi immaginare il seguito. La Gemma a me non lo ha mai raccontato, ma se ripeteva la storia, ridendo, a me e ai miei fratelli prima di me, forse vuol dire che nessuno s’era accoppato, quel giorno. Non vorrei essere stato quel povero malcapitato. La fantasia non è avara di scene che illustrano i risultati di quell’estrazione … fatta a colpi di mina!


Franco


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