Vignale


Mi ha telefonato Alberto, mio nipote. Un saluto svelto, prima di imbarcarsi per tornare a casa, in Sardegna. Son salito a Villabalzana … c'è qualcuno interessato ai campi, che ormai rischiano di diventare boscaglie. 

Sommerso dalla nostalgia, ho cercato una foto di quand’ero bambino, forse quatto o cinque anni, con il papà e la mamma. 

Eccoci qua, sulla “strada” che corre tra il Campo Moro e il Vignale. 

Ho usato le iniziali maiuscole; sono nomi propri, quasi di persona. 

Lì, dai nonni, la terra era infatti come le persone, ed ogni campo aveva il suo nome. Come ogni altra persona, la terra ricambiava le attenzioni, e pesava con precisione quelle che le venivano date. 


Moro da sempre indicava che quel piccolo appezzamento pativa dell’ombra dal bosco tutto intorno; nessuno però si sarebbe mai sognato di tagliare gli alberi per dare più sole alla campagna. Un po’ alla volta, o rapidamente, la terra del campo sarebbe scivolata a valle, giù nello scaranto.

Vignale era invece il nome giusto per un vigneto: lì le viti erano di Sauvignon e di Cabernet: davano grappoli verdognoli e bluastri. Come il vino che i nonni ne ricavavano. Aspri e duri entrambi, un po’ come aspro e duro è il lavoro nei  campi.


Il Campo Moro era riparato, verso la strada, da una siepe fitta di orniello e da un groviglio di more. Come quelle che, nella foto, mi sto portando alla bocca.

Verso il Vignale la strada era invece sostenuta da un alto muro a secco, che ogni tanto veniva sistemato là dove dava segni di cedimento. Dal muro uscivano due o tre alberelli selvatici di fico; davano i fichi migliori di tutta la campagna. 

A noi bambini servivano anche per scendere dalla strada fin nel campo senza dover seguire la lunga carrareccia di accesso. Se ne usciva altrettanto in fretta poggiando i piedi sulle pietre e aggrappandoci agli alberelli, come fossero scale.

Si guadagnava un po’ di tempo, e si mangiava sempre qualche buon fico.


Franco



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