Bugie


Devi tenere il segreto con la mamma e con la Gemma. Non devono saperlo! - si raccomandò Carlo. Devo dire una bugia? - gli domandai - No, basta non dirlo. Mica te lo chiederanno …

Si capovolse il mondo. Tacere la verità non era come dire una falsità? Mi tornò in mente il prete: i peccati possono essere in parole, in opere ed in omissioni. Ecco la domanda: tacere non è una omissione? Se non me lo chiedono, mica ometto la verità - mi risposi! Risposta esatta! Ero salvo.

Quella sera andai a giocare a poker a casa di un amico di Carlo. Si giocava a soldi. Tirai fuori un migliaio di lire dalla mia scorta. Il resto lo mise mie cognato.

Persi alla grande, ed ero molto avvilito. Mica ti dobbiamo coccolare - sentenziarono gli amici - devi crescere, fare esperienza, imparare! Così, perdendo, imparai subito, e bene. 

Però mi restava, in un angolo polveroso della coscienza, un piccolo problema, di cui discussi con mio cognato. Perché mi hai fatto credere che avevi un full quando in mano avevi solo una coppia di fanti? Continui a dire bugie! Macché bugie - mi rispose serio, quasi offeso - il gioco del poker si basa sul calcolo delle probabilità, e sul bluff, che è l’abilità di far credere all’avversario che in mano hai una combinazione di carte differente rispetto a quella di cui realmente disponi! 

Bluff, non menzogne … capii già allora che nella vita, e nella lingua, ogni parola ha un significato differente da ogni altra, anche se sembrano perfetti sinonimi. Con Carlo si faceva presto ad imparare. Mica era come mia cugina Giovanna che mi faceva mostrare le unghie delle mani. Guarda qua - mi diceva indicandomi una macchiolina bianca che si mostrava attraverso lo strato opalino dell’unghia - questa macchia dimostra che hai detto una fandonia. Ci avevo creduto. Così, prima di confessarmi dal prete di Villabalzana, contavo le macchioline bianche sulle unghie. Chissà se anche le bugie necessarie della Gemma lasciavano quelle macchie bianche lì, che erano il segno della menzogna.

Prima che io tornassi in Continente, mia sorella Isa mi portò a comperare un piccolo ricordo per la mamma. Ecco qua - esclamò davanti ad una vetrina di artigianato sardo - questo va benissimo … vedi, è un piattino lavorato con una corolla nel mezzo … lì ci si mette una candela … comodo su in campagna dai nonni, quando manca la luce. Dai, ricordati di dire alla mamma che le regali una bugia sarda. 

Ecco, il mondo si ribaltò un’altra volta. 

Fu ancora Carlo a spiegarmi che Bugia era il nome di una città d’Algeria, famosa per la cera con cui, fin dal primo medioevo, si preparavano candele pregiate. 

Tornai a casa senza un soldo, grazie al poker e ai bluff, con le dita cesellate di macchioline bianche, segno evidente, ed inutile, di falsità, perché mai imparai a fingere di disporre di combinazioni imbattibili di carte. In più portavo un portacandele che denunciava la mia ipocrisia grazie all’arte sarda e alla cera algerina! Come dire … un bugiardo internazionale.


Franco



Commenti

Post popolari in questo blog