Spiedini
Orribile. Fu un’esperienza orribile.
Mi avevano invitato ad una festa, una tradizione che, da qualche centinaio d’anni, si rinnova a fine giugno nel giorno di San Giovanni. Accettai con entusiasmo: a chiedermelo era stato l’amico Mereu, il pastore di maiali col cuile a qualche passo dalla mia postazione di ricerca, al Supramonte di Orgosolo.
Impossibile negarmi.
La tradizione prevedeva una gara tra i ragazzi del paese: vinceva chi più velocemente, col coltello, interveniva sui maiali in modo che smettessero di combattere per le femmine e ingrassassero velocemente, crescendo di valore.
Giocavano a squadre, ognuna formata da tre ragazzi: due dovevano acchiappare il maiale lasciato libero all’interno di un recinto, il terzo era il “chirurgo”. Un centinaio di porcelli, forse un minuto per ciascuno, e il risultato finiva in una secchia: due o tre secchie di testicoli!
Acqua ce n’era poca al Supramonte: i pastori più anziani pulivano, come meglio potevano, quel raccolto sanguinolento; lo tagliavano in tocchetti che infilavano in lunghi spiedi di mirto alternandoli a pezzi di lardo salato.
Altri pastori abbrustolivano gli spiedi sul fuoco.
Ebbi l’onore d’assaggiare i primi pezzi.
Fu orribile affrontare quel piatto che odorava di selvatico. Masticai a lungo quei bocconi, sorridendo e offrendo così, a chi mi guardava, un segno di sincero apprezzamento. Facevo però fatica a deglutire; per fortuna che, se mancava l’acqua, di vino lassù ne scorreva in abbondanza.
Col vino sardo e con la grappa veneta portata da casa, riuscii a digerire anche quella leccornia.
Conservo ancora il piatto-vassoio di legno d’ulivo, col foro per il sale, che i pastori mi donarono quella sera, dopo un paio di canti goliardici che mi chiesero d’intonare per la combriccola, allegra e stonata almeno quanto me.
Franco
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