Solitudine


Ho amato la solitudine. Quella fatta di silenzio, di orizzonti lontani, di cielo che si confonde col mare, o coi boschi, ma anche di nuvole che corrono, o che si accumulano sopra la testa, anche di quelle che portano il profumo di una pioggia imminente.

Spesso, salendo per lavoro in montagna, poggiavo a terra lo zaino e mi sedevo a guardare lontano, ascoltando i sussurri della vita tutto intorno. Il tempo correva, ma mi sembrava che il mondo fosse immobile, messo lì proprio per me, perché osservassi ogni cosa gustando le emozioni che ogni scoperta mi donava.

Poche volte ho provato smarrimento per il senso di solitudine che mi cadeva addosso.

Forse era la paura per un accidente improvviso, e imprevisto. 

Mai da soli in foresta, o sui torrenti - raccomandavo ai miei studenti - portate sempre un compagno con voi … non si sa mai. Ero però il primo a disattendere questa banale indicazione di buon senso.

Mi ha sempre turbato, invece, la solitudine che non avevo modo di controllare. La casa vuota, anche solo per poche ore, quando ogni scricchiolio dei mobili vecchi, o dei parquet, o di una porta che cigola mossa dalla brezza, mi ha sempre messo a disagio, ficcandomi il gelo fin dentro il cuore.

Per evitare questi pensieri, da piccolo, nelle ore del riposo dei vecchi, su sul monte, andavo a far compagnia ad uno spaventapasseri piantato al margine di un campo di frumento. Ci si consolava a vicenda della nostra solitudine, lui col suo immobile silenzio, io sussurrando le parole di una storia inventata da un bambino.

Con questo spirito, qualche tempo fa, a Ronzone, ho salutato uno spaventapasseri piantato ai margini di un prato per attirare lo sguardo distratto dei turisti.

Per un attimo ho accarezzato l’impossibile desiderio di tornare ad essere quel bambino d’un tempo, spumeggiante di ingegno e di fantasia. 


Franco




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