Setter


Lei non voleva un cane dentro casa. 

Sporca, puzza, perde il pelo, diceva.

Ma i ragazzi insistevano, ed io mi schierai con loro. 

Così studiammo gli annunci sui giornali locali, e si trovò un signore, con casa dall’altra parte del mondo, che voleva disfarsi di un Setter: bianco e nero, genitori ottimi cacciatori.

Era rimasto l’unico cucciolo invenduto. Nessuno lo voleva … era piccolo di corporatura e gracile di costituzione, eppure era esuberante, senza limiti, aveva l’argento vivo in corpo. Non obbedirà mai, dicevano i possibili acquirenti, non riconoscerà alcun padrone, non è un buon cane …

Quasi ce lo regalarono, purché lo portassimo via. 

Francesco se lo tenne sulle ginocchia per tutto il viaggio di ritorno; stretto tra le braccia, Argo, come già lo avevamo chiamato, fiutava il mondo col suo tartufo, nero, lucido, mobile come avesse vita propria.

Lei ci aspettava sulla porta di casa. 

Argo capì subito cosa doveva fare: volò, orecchie al vento, fin da lei e le si accoccolò sulle pantofole. Dal sorriso capii che le si stava sciogliendo il cuore.

Il cane sta fuori! Ordinò la mamma chiamandoci a tavola. Due minuti dopo vide il tartufo che fiutava l’aria profumata del nostro pranzo piegandosi intorno allo stipite della porta. Lei rise, lo chiamò e lo fece entrare.

Fu così che Argo vinse la sua battaglia: divenne membro effettivo della famiglia.

Passò la prima notte non nella grande cesta comperata apposta per lui, ma in una cuccia che scelse per conto suo, in garage: uno stipo in cui si conservavano vecchie pezze usate per la pulizia di casa. Quando spensi la luce, Argo si mise a piangere, e pianse per un’ora: gli feci compagnia per il resto della notte, seduto su di uno sgabello, la testa appoggiata al muro. 

Quando mi svegliai, gli feci capire che sarei stato io, da quel momento in poi, il capo-branco. La mia decisione, però, non resse alla prova del tempo. 

Diventammo buoni amici, sempre vicini, innamorati l’uno dell’altro.


Franco



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