Vicini vicini
Molti anni fa si regolava l’orologio con il segnale orario che veniva trasmesso, prima del Giornale Radio, dall’Istituto Galileo Ferraris di Torino. Lo si poteva fare tre volte al giorno: alle otto del mattino, alle dodici e alle diciannove. Regolare l’ora era un rito, fondamentale anche per mantenere corrette relazioni sociali. Mi puoi dare l’ora giusta? Chiedeva un amico … si, ho regolato l’orologio col segnale orario … neanche due ore fa. Il secondo non poteva mai essere centrato con precisione, ma il minuto era probabilmente esatto, anche a distanza di due ore dal bip inviato dall’Istituto torinese. Difficile che un orologio, pur se meccanico, sgarrasse di qualche minuto al giorno.
Perché l’ora esatta era indicata daTorino? Lì c’era il Centro Nazionale di Meteorologia, cui spettava anche il compito di sincronizzare tutti gli Osservatorii d’Italia grazie ad un segnale che a sua volta riceveva dall’Istituto di Fisica di Roma, dove il tempo era calcolato attraverso il decadimento radioattivo del Cesio. Quello era, di fatto, l’orologio atomico ufficiale d’Italia. Pochi sapevano cosa fosse un orologio atomico, ma a quei tempi, con la memoria ancora fresca delle bombe di Hiroshima e di Nagasaki, quel termine era sinonimo della terribile precisione con cui la scienza riusciva a manipolare la materia, anche gli invisibili atomi.
Molti anni più tardi, io avrei potuto regolare l’orologio anche alle diciotto. A quell’ora, infatti, puntualissimo arrivava Argo, che si sedeva davanti a me con aria interrogativa. Sembrava dicesse: sai che ore sono? Ormai da molti anni l’Istituto Galileo Ferraris non trasmetteva più i suoi bip … bip … attraverso la radio, ma io, oltre ai molti orologi radiocomandati da chissà quale paese del mondo, avevo a disposizione anche l’indiscussa precisione di Argo.
Hai ragione - gli dovevo rispondere alzandomi dalla scrivania; lui, sveltissimo, mi aveva preceduto scendendo le scale e stava già seduto davanti alla stufa. Da lì attentamente mi guardava mentre la pulivo, la caricavo di legna e vi accendevo il fuoco.
Allora scodinzolava felice, attendendo che io sprofondassi nella nostra poltrona per acciambellarsi subito dopo sulle mie ginocchia, nel caldo e baluginante riverbero della fiamma.
Di tutta la giornata, quello era il momento che più di ogni altro attendevamo: colmo di piacere e d’amore condiviso.
Un attimo di vera, assoluta vicinanza.
Franco
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