Camoscio


Se ne stava in disparte, defilato, ma anche fiero, come può essere un dominatore delle rocce, delle vertiginose altezze e degli strapiombi di montagna. I monti non erano più per lui, purtroppo.  Zoppo chissà da quanto tempo, con una zampa spezzata e malamente aggiustata, quel camoscio era stato destinato all’invisibilità. Per questa antica ferita più nessuno lo riteneva degno d’attenzione, nonostante l’etichetta “245”, scritta col pennino e l’inchiostro color seppia, portasse indubbia testimonianza che un tempo faceva parte della collezione d’arte di nonno Orazio. 

Alla fine lo tenne lei, ricordando che anche papà Giulio amava quella piccola scultura di legno, scura per gli anni e lucida per il tocco di chissà quante mani. Un camoscio, ritto su di un cocuzzolo, orecchie dritte a cogliere un possibile pericolo, le corna ricurve, perfette, un trofeo che sarebbe stato ambito da tanti cacciatori. 

Così, zoppo e trascurato, è arrivato fino a noi. 

Quante sere, chiacchierando tra noi dopo cena, ho dedicato tempo e pazienza al tentativo di riparare quella zampina con stecchini, colla e pinzette! Ci riuscii, anche se un po’ rusticamente. 

Ma anni più tardi, uno spolverino maldestro ha azzoppato di nuovo quel nostro camoscio. Abbiamo discusso a lungo, decidendo di far intervenire chi davvero si intendeva di lavori in legno, delicati e precisi: un liutaio! Un maestro degli intarsi e dei riccioli più arditi, capace di maneggiare strumenti che sembrano destinati alle mani di un micro-chirurgo!

Ed eccolo qui il piccolo camoscio, fiero e scattante, mentre fiuta l’aria, pronto ad un nuovo balzo verso un’altra roccia, verso la sua libertà.

Lo guardo, e stavolta stupisco per tanta bravura.


Franco




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