Diga


Amavo salire lassù, dove gli alberi non reggono al gelo e al vento che scende dai ghiacciai.

Anche le erbe stentano a fiorire nella breve stagione libera dalla neve. 

A Cornisello si voleva costruire una diga, fatta di pietre accostate e ben pressate, con poco cemento. Avrebbe trattenuto l’acqua dell’Adamello. Poi un salto, di quasi mille metri, per generare la prima energia. Poi, in successione, altre turbine, e molta altra energia di cui il Paese era affamato. 

Il dramma del Vajont interruppe l’impresa, e la valle del Nambrone, con l’embrione della diga e i due piccoli laghi di smeraldo che attendevano d’essere uniti, venne dimenticata.


Ci salivo ogni anno, più volte, tra la tarda primavera e la fine dell’estate. Spesso mi accompagnava mio fratello, che di energia s’intendeva. Poi con me salivano alcuni laureandi, ed infine gli studenti del corso di Pianificazione, che con le mie lezioni concludevano i cinque anni di studio. 

Insieme si organizzò un progetto di recupero paesaggistico e naturalistico della valle che poi venne approvato e realizzato. 

Ora lassù c’è un paradiso. 


Duemilaquattrocento metri di altitudine sono diventati troppi per il mio cuore e così non sono più salito a Cornisello. 

Mi restano solo le fotografie. 

Tantissime. E tutte ancora mi emozionano.


Franco




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