Pattada


Ero molto orgoglioso della mia automobile: una cinquecento, più volte da me dipinta di bianco, che mi aveva portato avanti e indietro da Trento a Padova per tutti gli anni d’Università. Che nostalgia! E poi, quante vacanze passate insieme su e giù per l’Italia, caricata come un autocarro! 

E mi conduceva ancora, dopo tanti anni, da casa all’ufficio, senza mai lamentarsi.

Ne parlavo con entusiasmo ai forestali, su, al Supramonte di Orgosolo.

È fortunato, professore - mi rispose uno di Pattada … - quella macchina lì ha delle balestre fenomenali!

Lo guardai stupito. Non avevo mai considerato le balestre della mia cinquecento. Si, mi parevano solide, rigide, mai avevo sbandato in curva … ma chissà quante altre automobili ne avevano di eguali, se non di migliori!

Magari ne avessi una, di cinquecento - professore - qua vanno a ruba! Quelle sinistrate spariscono subito … ci recuperano le balestre - guardai il forestale, perplesso - sono fatte con un acciaio davvero speciale, quelle balestre lì - mi spiegò - è elastico, resistente, facile da lavorare. Si tagliano, si battono, si lavorano e si ottengono questi qua … - si tolse di tasca un coltello a serramanico - quelli di Pattada, il mio paese, vengono venduti anche a due-trecentomila lire. 

Facile fare il conto: era quasi il doppio del mio stipendio! 

Avrei dovuto portare in Sardegna la mia povera cinquecento … di lì a qualche anno … avrei dovuto pensarci!


Franco




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