Dono


Mamma era già molto malata quando venne costruita la casa di Ronzone.

Amava questo luogo, anche se era così diverso dalla sua Villabalzana. 

Nei primi anni che si saliva fin quassù, subito dopo la fine delle scuole, la vedevo impegnarsi allo spasimo pur di raggiungere il bosco, cioè l’aria fresca e profumata sotto gli abeti; voleva camminare, anche se molto lentamente, e guardarsi intorno. 

C’è un fungo, Franco, ne sento il profumo. 

Continuava a chiamare i porcini col nome che usava a Villabalzana: carpanoti, diceva, perché a casa sua, sul monte, i porcini più belli crescevano sotto le Ostrye, le carpinelle. 

Amava anche i funghi del pin, cioè i lattari; se ne trovavano a decine, e già ad avvertirne il profumo a lei veniva l’acquolina in bocca, intrigata all’idea di cucinarli in forno, ripieni di pane grattugiato, prezzemolo, olio e cognac.

Negli ultimi anni faticava anche solo a muoversi per la casa. Eppure metteva tutte le sue energie per scendere sul lastricato davanti alla porta del salotto. Si sedeva davanti alle sue rose, ad una in particolare, e ringraziava dio che le consentiva ancora una volta di gustare tanta bellezza di forme e di colori, e quel delizioso, unico, profumo.

Mi fermo sempre di fronte a quella rosa. Son passati cinquanta anni, ed è ancora lì. 

È vecchia e malandata, ma sembra spremere tutte le sue energie per rinnovarmi, anno dopo anno, questo dolcissimo ricordo. 

Un vero dono, il più gradito.


Franco



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