Cumuli


Sono rimasto imbambolato, perso nella bellezza di quanto mi si era fissato negli occhi.

Mi capitava anche quand’ero bambino. A volte ero da solo, e così quelle nuvole immense riuscivano ad allontanare il rischio della noia pomeridiana, quella che mi inghiottiva prima che potessi incontrare i miei cugini, o gli amici di Villabalzana. 

Altre volte, invece, quelle nuvole erano come un gioco. Un gioco antico come il mondo, forse inventato dai pastori che null’altro potevano fare se non guardare il gregge, o il cielo, e scatenare l’immaginazione.

Eccoci dunque coi miei compagni di gioco e gli occhi puntati sui cumuli bianchi, spumosi, creati dal calore dell’estate. Ci si sdraiava sull’erba profumata dei vegri, lontani da casa, e ci si descriveva l’un l’altro quello che le nuvole, ma forse più la fantasia, ci stavano raccontando. Il vento agitava, lentamente, quei vapori pomeridiani, la cui forma cambiava in continuazione. Assumevano quella di tutti gli animali del cortile, oppure quella degli oggetti di casa, ma più spesso ci facevano rivivere qualche storia narrata nel libro che in quel momento si stava leggendo. 

Qualche volta, abbassando la voce, si osava anche descrivere qualche forma proibita, e poi ci si chiedeva se s’era fatto peccato. 

Oggi, sopra di me, in uno spazio di cielo non mascherato dalle case che chiudono quella meraviglia d’azzurro e di bianco, stava montando una immensa torre di panna, con tanto di merli e sentinelle … ma no, dai … è una cascata che si frantuma su quei cumuli di massi, non vedi?

Sono rimasto stordito: dopo settant’anni ero tornato a giocare come quando ero bambino. 

Di sicuro, però, non è peccato … no dai … anzi!


Franco



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