Caneco
Mi manca l’animo per gettarlo.
Ormai la plastica è ingiallita e il disegno che ne ornava la superficie se ne è quasi del tutto andato.
Immagino sia diventato fragilissimo, incapace di sostenere anche l’urto di una caduta. Insomma, non è quasi più utilizzabile, è cioè pressoché inutile.
Ma l’ha comperato la mia mamma, forse negli anni sessanta. Lo usava ogni giorno in cucina: le serviva a misurare le dosi di acqua e farina. Alla Gemma serviva invece per annaffiare i gerani: è la quantità giusta per tre vasi - diceva - e poi ha il beccuccio e a terra non finisce neanche una goccia.
L’ho ritrovato in sgabuzzino in montagna, a Ronzone. Anche la Gemma non l’ha più ritenuto adeguato per portarlo con sé a Vicenza. L’ho ereditato io, e mi guardo bene dal buttarlo. Mi racconta delle persone che mi hanno cresciuto ed amato. A toccarlo mi pare di sentirne ancora la voce e le carezze.
Lo tengo in mano e rido. È un banalissimo bricco da cucina, qualcuno direbbe che è una caraffa, di quelle veramente economiche, forse data in omaggio da qualche bottega, o pagata coi punti, cioè con le figurine che si trovavano nelle scatole dei detersivi.
Cos’è? - mi hanno chiesto - è un caneco - ho risposto, recuperando dalla memora il termine impiegato dalla mamma e dalla Gemma.
Cooosa? CA - NE - CO - ho risposto, sillabando la parola, oppure canecheto, visto che è piccolino.
Tutti m’hanno guardato come fossi impazzito. Io ho riso e ho tentato di recuperare un minimo di dignità, mettendo in campo un pò di scherzosa fantasia.
Ma dai! Non lo sapete? Tu, poi, che tutte le mattine leggi “Una parola al giorno” e digerisci anche i termini più strani ed improbabili, non sai che Caneco è lemma dotto, molto elegante, di diretta derivazione greca, cioè da Kalix oppure dal più popolare Kalinekòs; è stato poi recuperato dal latino Calinecus, diventato, per errore di trascrizione, Caninecus, che indica il vaso rituale usato dai sacerdoti quando distribuivano ai fedeli l’acqua e il vino. Da noi è stato semplificato in Calice …
A questo punto la voce mi si è strozzata, e s’è capito che mi stava venendo da ridere.
Mi hanno liquidato con un gestaccio della mano. Ma no … - ho cercato di recuperare - tra le lingue neolatine è rimasto intatto nel portoghese. Ecco perché la mia mamma usava sempre questa parola. Ma guarda che caneco è diffuso un po’ in tutto il mondo, specie nelle città marinare, quelle dotate di grandi porti, dove circolano ancora lingue franche, quelle impiegate dai marinai.
Ora chi mi ascoltava è dubbioso. Si sapeva, infatti, che la mia mamma aveva passato la giovinezza a Recife, grande città portuale del Brasile.
Così ho calcato la mano. Significa bicchiere, o caraffa - ho aggiunto - a seconda della quantità del liquido che vi veniva versato, vino, rum, grog. La parola indica anche il fornello, cioè la testa della pipa, e capite che in questo caso il caneco si presenta nella sua minima dimensione, quella della dose di tabacco da fumare. Mai visto i marinai con la pipa in bocca?
Avevo esagerato! Mi hanno ripetuto il gesto, stavolta con una venatura un po’ più … da portuale.
Io però ho sorriso, travolto dalla nostalgia. M’è difficile immaginare la Gemma vestita alla marinara, e m’intenerisce pensare che la mamma sia partita da quella parola per tentare d’insegnarle il portoghese.
Franco
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