Soldo
Il papà e la Gemma ripetevano sempre: i soldi non si buttano, pagano il lavoro, e la fatica! Così le monetine rimaste in tasca come resto della spesa venivano sempre sistemate in una ciotola, sul ripiano della credenza, in cucina, là dove venivano collocate anche tutte le chiavi di casa e la posta appena arrivata o quella da spedire. Di lì venivano recuperate per fare altra spesa. Ricordo di aver trovato molte monete in uno dei cassetti più bassi della stessa credenza, quelli che quasi mai nessuno apriva. Erano monete con stampata la corona reale e l’effige di persone severe e baffute. Sono fuori corso, disse il papà, autorizzandomi a tenerle perché ci giocassi, e così finirono in una scatolina con tutti gli altri miei tesori.
Le ho ritrovate da poco; hanno incuriosito i miei nipotini canadesi, evidentemente animati dallo stesso spirito di attenzione per il denaro trasmesso dal nonno e dal bisnonno.
Tra quelle ce n’è una strana: si vede che viene da lontano, consunta com’è. Così l’ho studiata con attenzione: è un soldo veneziano coniato dal doge Marcantonio Giustiniani nel 1685. Un soldo da dodici bagattini, che erano l’unità di misura per le spese minute, come quelle che si facevano al mercato di Rialto. Come fa intendere il nome, il soldo era la moneta con cui si pagavano le truppe mercenarie, all’epoca soprattutto gli Slavoni, o Schiavoni, i soldati dell’Istria e della Dalmazia che fino all’ultimo rimasero fedeli alla Serenissima.
Mi ha preso la smania! Quante dita hanno stretto questa moneta, forse coniata nel rame? E quanto valeva? Difficile dirlo, perché l’inflazione ha colpito in tutti i tempi, da quando s’è cominciato a batter moneta. Per questo motivo il Ducato, che a Venezia era detto Zecchino, mantenne sempre il suo peso in oro, così da garantire alla Serenissima la fama di stabilità e di correttezza economica che l’ha resa e mantenuta la principale “banchiera” di tutti gli Stati d’Europa.
Ho trovato poi in rete anche una nota che in qualche modo mi ha toccato: si tratta di un diario delle spese sostenute da Ludovico Falier nei primi anni del cinquecento. Quel Patrizio fu un personaggio molto in vista a Venezia, e la sua famiglia, di grandi e ricchi mercanti, diede alla Serenissima tre Dogi.
Scriveva dunque il nostro Falier:
Adi 2 zugno sabado
per pesse, soldi 4, per ovi e erbe, soldi 3, per charne per 2 zorni, soldi 8
Adi 6 zugno, merchore
per charne de manzo, soldi 4, per fasinele n. 15 fresche, da metter sotto al letto per chazar i zimexi, soldi 5, per pesse per disnar et ovi per zena in tutto, soldi 5
Adi 9 zugno sabado
quarte 3 1/2 di tela padovana per far conzar le mie mutande, soldi 6 …
Insomma, tenendo conto che il soldo che sto stringendo tra le dita è stato coniato circa un secolo dopo la redazione del diario di Falier, la mia moneta, colpita dall’inflazione, non era più certo segno di ricchezza: forse al nostro patrizio nemmeno bastava per pagare un pranzo o una cena di casa, dove viveva col figlio, circondato da molta servitù!
Però, con quel soldo ho potuto sedermi a tavola con lui.
Sensazione che proprio non ha prezzo!
Franco
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