La via del Supramonte
2 - Sas Baddes
L’Istituto acquistò un furgone. Sui fianchi fu scritto: Università di Padova - Laboratorio di Ecologia. Fui orgoglioso di guidare quel mezzo, che sul principio mi pareva consono a venditori ambulanti più che a Ricercatori dell’Università. Però, dopo un paio di mesi di speciali allestimenti, il furgone aveva assunto l’aspetto di un vero laboratorio mobile, stipato di strumenti d’ogni tipo, molti elettronici, dall’aspetto fantascientifico, che dimostravano come lì dentro si procedesse ad indagini e a misure accurate e precise quali nessun umano avrebbe potuto immaginare. Solo il baluginare di cento lucine bastava a intimorire chi si avvicinava al nostro furgone-laboratorio, che davvero era di rango superiore, come annunciava quella scritta magica: Università di Padova.
Nel mezzo della foresta, a forza di bulldozer, per il nostro laboratorio mobile venne aperta una carrareccia. Mi vergognai per la ferita, che restò a lungo evidente tra i lecci, ma i forestali di lassù mi giurarono che per realizzare la pista nessuna quercia era stata abbattuta. Scoprimmo poi che, proprio per salvare alcuni alberi, a causa delle curve e dei saliscendi, la nuova pista per arrivare fino il sito delle nostre ricerche, a Sas Baddes, non era diventata molto più facile e sicura rispetto al vecchio tracciato percorso dalle Campagnole.
Nel giro di qualche settimana, la ferita prese a rimarginarsi, qualche erba selvatica cominciò a mascherare i segni delle ruspe e noi diventammo espertissimi piloti di un nuovo tipo di rally aperto anche ai furgoni.
Mai ci si abituò alla solitudine della foresta. Si andava in Sardegna uno alla volta, per una intera settimana ogni venti-trenta giorni. Il laboratorio, liberato da alcuni strumenti sistemati a terra intorno al grande leccio oggetto della nostra curiosità scientifica, divenne sala da pranzo e stanza da letto, nel silenzio inquietante del bosco, sia nel caldo cocente dell’estate, sia nel freddo pungente delle notti d’inverno.
Solo con la festa di San Giovanni, quando, per antica tradizione, i pastori di pecore e di maiali del Supramonte lasciarono la foresta per darle riposo, noi potemmo godere di una inattesa compagnia.
Le pulci che popolavano i cuili, cioè i ricoveri dei maiali, private degli animali del cui sangue si nutrivano, si riversarono in massa nell’unico ristorante rimasto aperto sulla montagna: il furgone in cui io, in quel momento dell’anno, mangiavo e dormivo.
Provai di tutto: alcol versato addosso ad inzuppare i vestiti, zampironi accesi tutto intorno, ciotole di benzina e di gasolio messe ad evaporare come fossero insetticida liquido … servì a nulla! Dopo neanche due giorni di ininterrotta sofferenza, decretai che la mia settimana di lavoro era terminata, recuperai l’attrezzatura, salutai, solo con un cenno della mano, dal finestrino, i Forestali e i Carabinieri della Caserma, e scesi veloce a Nuoro.
Mi permisi una notte in albergo, cioè mi concedetti una doccia molto speciale. Dopo essermi versato addosso, vestito, l’ultimo flacone d’alcol, mi spogliai e misi subito gli abiti in un grande sacchetto per l’immondezza; lo sigillai col nastro isolante e lo sistemai sul poggiolo. Allora, sospirando di piacere, scivolai sotto l’acqua bollente.
Nulla però servì a lenire il prurito.
Ricordo un numero: 243; tanti erano i segni purpurei lasciati dal morso delle pulci solo sulla mia gamba sinistra.
Li contò mia moglie, a Padova, ricoprendomi d’antistaminico, con cura e pazienza certosina.
Franco
Un cuile, accanto al sito di Sas Baddes
Per un forestale nato in quella Università è un racconto molto avvincente che fa ritornare alle esperienze vissute! Grazie! ... aspettiamo con curiosità il seguito...
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