La via del Supramonte
6 - Allo … che?
Susmel conosceva a fondo la letteratura ecologica e forestale europea. Istriano, aveva frequentato scuole tedesche e conosceva alla perfezione quella lingua; parlava fluentemente anche il francese. Aveva a lungo frequentato i centri di ricerca del centro e del nord Europa, dove aveva conosciuto di persona i più noti studiosi della Selvicoltura, dell’Ecologia, e della “Paesaggistica”, come allora venivano chiamate le future scienze ambientali.
Quando il maestro discuteva delle ricerche affrontate dal suo istituto, amava inserire nei ragionamenti moltissime parole “tecniche” di derivazione straniera, soprattutto tedesca, che ai suoi interlocutori risultavano spesso ostiche, se non proprio incomprensibili.
Un giorno, si era tutti riuniti a Cagliari, se ne uscì con una espressione che lasciò perplessi quelli che l’ascoltavano: Viola - mi indicò con un gesto del braccio - deve allestire una tavola allometrica! Bisognerà abbattere qualche leccio.
Allo … ché, si chiesero tutti. Nemmeno sui più prestigiosi dizionari si poteva in quegli anni trovare una definizione per quel termine, inventato da un selvicultore bavarese, Otto Snell quasi un secolo prima, nel 1892. Oggi, invece, è di uso corrente, almeno per chi mastica un po’ di morfometria e di fisiologia.
Per non denunciare crepe nella propria preparazione, all’unanimità venne concessa l’autorizzazione al taglio degli alberi.
Una volta saliti a Sas Baddes, nel cuore profondo della foresta, sorse qualche perplessità: ma quanti alberi? E quali? Susmel si mise a valutarne il numero, e ad indicarne alcuni, forte dell’autorizzazione firmata dal Generale.
Tutti scuotevano la testa, compresi i pastori richiamati dal rosario di auto arrivate fin là.
Susmel volle assistere al primo abbattimento: un leccio enorme, il più alto e grosso che io avessi mai veduto. Due ragazzoni in divisa, armati di grosse motoseghe, impiegarono parecchie ore per tagliare alla base il fusto di quel monumento.
Io avevo un groppo in gola, e voglia di piangere.
Mi consolarono i due Archa: ci sarà buona legna per parecchi inverni … ma si vedeva anche nei loro occhi l’amarezza, il dolore, come se si stesse giustiziando un amico di lunga data.
Cominciarono gli scricchiolii: il legno durissimo del leccio stava cedendo. Una scheggia volò nell’aria, suggerendo, a chi poteva farlo, d’allontanarsi.
Anche i due forestali con la motosega mostrarono segni di allarme. Erano anche perplessi: non riuscivano a prevedere dove sarebbe caduto quell’albero, poiché il peso dell’immensa chioma era distribuito in modo irregolare.
Poi il fusto cominciò ad inclinarsi, e tutti si spostarono nel verso opposto. Anche Susmel si allontanò, ma non di molto, probabilmente per dimostrare la sua esperienza di forestale pratico, esperto di operazioni xilotomiche, come amava dire.
Un crepitio più forte, acuto, doloroso. Una nuvola di schegge volò per l’aria, pericolosamente. Si spostarono di corsa anche i due forestali con la motosega; lo fece anche Susmel, mostrando stavolta un po’ di timore.
Il fusto prese a crollare, lentamente, indirizzandosi proprio verso il professore, che questa volta corse più svelto in cerca di sicurezza. Stranamente il leccio prese a ruotare sulla sua ceppaia recisa, disobbedendo ai principi della fisica, e alle tacche di abbattimento. Sembrava proprio che stesse inseguendo il suo giustiziere, urlando al mondo tutta la sua rabbia.
Nella foresta di Montes echeggiava il ruggito dei rami spezzati.
Ci si allontanava tutti molto in fretta, senza realmente sapere dove stesse la sicurezza.
Ecco, Viola, ora ha da misurare per un po’! Mi disse Susmel, recuperando il suo solito aplomb. Calcolai il mio impegno allometrico: tra misure della lunghezza e del diametro dei rami, pesatura del legno, determinazione del numero, della superficie e della massa delle foglie non mi sarebbe bastata una intera settimana di lavoro noioso, faticoso e certosino, dall’alba al tramonto.
Venne in Sardegna, a darmi una mano, anche Toni, il Brigadiere Forestale da poco assegnato all’Istituto.
Restò in Supramonte per due intere settimane: … Orgosolo … è la destinazione dei puniti - brontolava - questo posto è peggio della galera!
Franco
Sas Baddes, nel 1973
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