Medicine La mamma teneva chiuso a chiave solo uno stipo laterale del cassettone che troneggiava nella sua camera da letto. Per me era una sofferenza! Nei momenti peggiori di noia, il mio gioco preferito era sgattaiolare alla scoperta degli angoli più nascosti di casa. C’erano stanze e stanzette davvero misteriose, riempite di cianfrusaglie che nessuno voleva buttare: questo bastone era di tuo bisnonno Lorenzo … figurati, questo berretto era invece di Raffaele, tuo bis bis zio , il garibaldino … e via a ricordare il valore di oggetti abbandonati all’oblio e coperti da un dito di polvere. Quello stipo in camera della mamma era rimasto l’unico luogo veramente misterioso e inaccessibile della casa. Ne scoprii il motivo il giorno in cui Fernando, il mio fratello maggiore, tornò dal lavoro con la tosse e un terribile prurito sul petto. Contattato il medico di fiducia, si decise la terapia: da una scatola di cera da scarpe, acquistata in farmacia, venne recuperata una crema color marrone sc
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Vernacolo Facevamo le capriole pur di vivere insieme il tempo “libero” del sabato e della domenica. Quando si smise di frequentare l’istituto anche la mattina del sabato, avemmo finalmente l’opportunità di raggiungere il centro per qualche acquisto particolare e, soprattutto, per respirare l’aria della città. Ci piacevano le piazze. C’era sempre confusione: l’ umanità sembrava darsi appuntamento intorno al Palazzo della Ragione e Sotto il Salone . Umanità padovana, dotata di quel timbro di voce che la distingue da quella vicentina e da quella veneziana: inconfondibile! Era un gusto ascoltare i verdurai e i frutaroi di Pazza delle Erbe contendersi gli acquirenti gridando a squarciagola la qualità della loro merce. S’ascoltavano quasi le stesse parole da un capo all’altro della piazza, e le medesime battute, spesso scurrili, ma urlate in vernacolo con le inflessioni particolari dei paesi intorno a Padova, quelle dei Colli, delle grave ai confini con Vicenza e Treviso, o degli or
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La banda Non ho resistito. Del resto, stare a guardare la TV, in poltrona, col cervello messo a riposo, non è proprio il mio ideale di vita, almeno di quella parte di vita che mi sta ancora davanti. Così mi sono messo alla tastiera, e per qualche mese ho sistemato un po’ di pagine che già avevo abbozzato, recuperando qualche idea anche da Attimi , cioè da questo blog . Alla fine, il lavoro non mi convinceva, forse nemmeno mi piaceva. Poco male - mi sono detto - in agenda non vedo molti impegni per i prossimi mesi, posso ancora continuare con questo gioco editoriale, ma con altre idee. Così, cestinato il primo tentativo, mi sono lanciato in un secondo. Ancora ricordi d’infanzia. Un bambino fortunato - mi ha fatto sapere un’amica cui avevo proposto in pre-lettura quelle pagine di memoria - un bambino con una vita piena di stimoli, di sollecitazioni nonostante gli anni grami del dopoguerra! Ho considerato quel suo giudizio come un imprimatur . Ho chiesto appuntamento all’editore
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Buongiorno Ma dai, Alessandra, perché non si dovrebbe sperare in giorni migliori? D’accordo, TV e giornali ci sommergono di pessime notizie. Guerre e disastri ovunque, lazzaroni che sembrano impegnati a rendere il mondo sempre peggiore, e il continuo declino dei valori che un tempo si attribuivano all’ umanità . Però mi ostino a leggere il giornale mentre faccio colazione. Poi mi intestardisco a guardare il telegiornale, a pranzo e ancora a cena. A fine giornata mi rendo conto che lo stomaco e la digestione urlano il loro disappunto e così mi caccio in letto brontolando. Eppure, in quegli istanti prima del sonno, si accende la speranza che l’indomani mi potrà essere annunciato qualcosa di buono, di positivo. Perché non dovrebbe accadere? Va bene, mi accontenterei anche di una notizia piccola piccola, ma positiva, di una immagine che possa donare un istante di serenità, magari anche un sorriso, una emozione per qualcosa d’inatteso. Come ogni mattina apro la finestra e lascio
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Le cinque stagioni Le giornate si fanno sempre più uggiose. A volte lame di luce riescono a trapassare la foschia, o le nubi; altre volte, invece, il cielo resta cupo, plumbeo, incattivito. Si rompe la stagione! - così brontolava la nonna, con le mani tese sulla piastra del fornello a legna su cui, in quegli anni, si cuocevano il pranzo e la cena - Ormai si prepara l’inverno - concludeva sconsolata. Sorrido al ricordo. In quei tempi c’erano l’inverno e l’estate. Tra quelle due stagioni, che per me bambino erano quella della scuola, coi compagni di classe, e quella delle vacanze, ci stavano la primavera e l’autunno, le stagioni di mezzo, che però a me mostravano caratteri precisi e gradevoli … né calde né fredde, con loro propri colori e profumi, ed anche con caratteristici sapori, che gustavo in cucina. Insomma, tutte quattro mi andavano bene. Ora, in questi strani giorni d’ottobre, mi prende l’insicurezza, a volte la paura di possibili scrosci violenti di pioggia e di piene impr
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Fagioli Ho assistito ad una conferenza in cui si trattava dell’alimentazione dei contadini, così come la poteva valutare un medico padovano del settecento. La condizione misera dei contadini di quel periodo storico non mi era nuova, ma molte novità sono state presentate in quella conferenza sul vitto dei lavoratori della campagna padovana, che per sua natura è grassa e ricca di prodotti. Ad esempio, sulla tavola dei braccianti raramente si poteva trovare carne, se non di infima qualità e al limite dell’ edibilità, e l’acqua era quella delle paludi o dei fossi, non proprio il meglio da bere. La fine della conferenza è stato preceduta dalla proiezione d’un dipinto di Annibale Carracci, Il mangiatore di fagioli , datato 1585. Il conferenziere l’ha presentato a dimostrazione della povertà dei contadini, sottolineando un gesto dell’uomo che sta affrontando una robusta ciotola di legumi accompagnata da cipollotti e da un piatto di altre verdure: stringe il pane come per difenderlo da altri
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Cumuli Sono rimasto imbambolato, perso nella bellezza di quanto mi si era fissato negli occhi. Mi capitava anche quand’ero bambino. A volte ero da solo, e così quelle nuvole immense riuscivano ad allontanare il rischio della noia pomeridiana, quella che mi inghiottiva prima che potessi incontrare i miei cugini, o gli amici di Villabalzana. Altre volte, invece, quelle nuvole erano come un gioco. Un gioco antico come il mondo, forse inventato dai pastori che null’altro potevano fare se non guardare il gregge, o il cielo, e scatenare l’immaginazione. Eccoci dunque coi miei compagni di gioco e gli occhi puntati sui cumuli bianchi, spumosi, creati dal calore dell’estate. Ci si sdraiava sull’erba profumata dei vegri , lontani da casa, e ci si descriveva l’un l’altro quello che le nuvole, ma forse più la fantasia, ci stavano raccontando. Il vento agitava, lentamente, quei vapori pomeridiani, la cui forma cambiava in continuazione. Assumevano quella di tutti gli animali del cortile, oppure