Pesche
Nel quindicinale viaggio tra Padova e Trento avevo dovuto deviare dal solito percorso per fare tappa a Villabalzana.
Nella minuscola Cinquecento, stipata del nostro bagaglio, era salito anche Carlo, mio futuro cognato. Prima di ripartire verso Trento, avevo proposto ai miei compagni di viaggio di tardare un attimo: desideravo scendere nei campi dove di sicuro stavano maturando le pesche.
Voglio portarne alla mamma, che le adora … sono dolcissime, squisite - avevo spiegato.
Carlo aveva fretta, e quella perdita di tempo per raccogliere un po’ di frutta dovette proprio indisporlo.
Fanno schifo - se ne uscì in tono acido, impiegando un’espressione colorita che non posso riportare - sono nòccioli rivestiti di buccia pelosa!
A sentire quelle parole ci stetti malissimo.
Per me, da sempre, fin da quando sono stato in grado di rosicchiare la frutta del monte, quelle mie pesche raccolte calde di sole dagli alberelli nei campi, tra le vigne, erano le migliori del mondo, “grosse”, dorate, zuccherine.
Ancora oggi mi chiedo se fossero state davvero buone come le ricordavo, oppure se, diventato ormai adulto, continuavo a vedere la frutta del monte con gli occhi stupefatti d’un bambino.
Franco
Commenti
Posta un commento