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Visualizzazione dei post da agosto, 2025
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Rondini È quasi mezzogiorno e ho cento cose da concludere prima del pranzo. Ma sono in attesa del mio turno in un ufficio comunale che gestisce l’asporto rifiuti.   L’attesa non giova all’umore. Però sono in un palazzo antico e dalla finestra posso ammirarne la struttura. Vedo le travi restaurate che reggono lo spiovente del tetto: bellissime, ma … - qualche cosa devo pur criticare in quel palazzo cinquecentesco che mi sta tenendo prigioniero. Vedo il segno lasciato da un nido di rondini che immagino sia stato staccato con un palo, forse proprio dalla finestra da cui sto guardando. Ma come si può cacciare di casa le rondini? Danno allegria, e portano fortuna! Lo diceva anche la mamma, che pure brontolava per lo sporco che le rondini lasciavano cadere a terra, nel cortiletto davanti alla porta di casa, a Villabalzana. Brontolava anche la Gemma, che per lavare quello sporco doveva attingere l’acqua alla fontana. Ma poi tutta la famiglia restava incantata ad ammirare il volo delle ro...
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Costumi Una signora, a pochi passi da me, sta abbrustolendosi al sole, la sdraio incastrata tra i candidi scogli di calcare. Io ho invece sistemato la mia sdraio per avere la piena protezione dell’ombrellone, anche se la mia pelle è ormai abbronzata dal sole cocente della Grecia.  Attraverso le palpebre socchiuse vedo che la signora ha la pelle chiarissima, e nessun timore di scottarsi. Anzi, s’è tolta di dosso anche quel poco che le copriva il seno. Sorrido al ricordo delle mie sorelle, al Lido di Venezia, dove una vita fa si andava in vacanza, ospiti dei nostri cugini.  Le ragazze indossavano costumi interi, ed avevano il terrore di bruciarsi la pelle delle gambe e delle spalle. Ogni tanto la mamma e la zia le richiamavano sotto il telo che dava ombra ai lettini, oppure le facevano sedere sulle sdraio sistemate nel pathio del capanno. Allora non c’era altra protezione, se non i tendalini o gli ombrelloni aperti sulla sabbia davanti ai capanni. Poi, la sera, c’era il borota...
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  Seme Parlo spesso a persone che solo io riesco a vedere, e a sentire. Non è follia: è solo desiderio di mantenere un legame con chi ho amato e che ora non c’è più. Così mi trovo a chiedere alla mamma di ripetermi i suoi racconti sul Brasile, e al papà se ha la pazienza di spiegarmi qualcosa sui differenziali, o sugli integrali, come se ancora avessi da superare una interrogazione.   E poi c’è la Gemma, e Fernando, che dovrebbero aggiornarmi ogni fine inverno od ogni primavera su come prendermi cura delle viti o degli ortaggi che mi ostino a coltivare in un angolo del giardino. Mille cose mi riportano alla mente i miei cari: le seggiole da sistemare, o la falciatrice che non parte … ed ecco Pier Lorenzo che mi rimbrotta, e le mie sorelle quando mi torna in mente Villabalzana e la lavanda che potavano ogni fine estate … Oggetti e pensieri che si trasformano in veicoli magici che mi portano a spasso nel tempo. Oggi, a Ronzone, Lucio è tornato dall’orto tenendo una piccola mela ...
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  San Lorenzo C’era una panchina a lato della strada che porta al bosco, a Ronzone. Allora, forse 40 o 50 anni fa, le strade erano ancora quasi tutte bianche e non c’erano lampioni per rendere sicuri i passi di chi osava muoversi di notte. La sera del dieci agosto di quell’anno le nostre due famiglie, i Viola di sopra e quelli di sotto, come allora si diceva, avevano deciso di salire fino a quella panchina. Avevamo portato un plaid , per scaldarci le ginocchia, e c’eravamo seduti a guardare il cielo per contare le stelle cadenti. Era buio, davvero; nemmeno il paese, sotto di noi, riusciva a schiarire la notte coi suoi pochi lampioni e con le finestre delle case illuminate.   San Lorenzo. Allora la sera si consumava così, a raccontarci le solite faccende di casa, e a contare le stelle. Le stelle cadenti. Ogni tanto una scia luminosa, e il grido “ eccola ”. Il fortunato che aveva veduto quel lampo di luce accresceva la lista dei suoi desideri. Gli altri moltiplicavano l’attenzio...
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Caneco Mi manca l’animo per gettarlo. Ormai la plastica è ingiallita e il disegno che ne ornava la superficie se ne è quasi del tutto andato.   Immagino sia diventato fragilissimo, incapace di sostenere anche l’urto di una caduta. Insomma, non è quasi più utilizzabile, è cioè pressoché inutile. Ma l’ha comperato la mia mamma, forse negli anni sessanta. Lo usava ogni giorno in cucina: le serviva a misurare le dosi di acqua e farina. Alla Gemma serviva invece per annaffiare i gerani: è la quantità giusta per tre vasi - diceva - e poi ha il beccuccio e a terra non finisce neanche una goccia.   L’ho ritrovato in sgabuzzino in montagna, a Ronzone. Anche la Gemma non l’ha più ritenuto adeguato per portarlo con sé a Vicenza. L’ho ereditato io, e mi guardo bene dal buttarlo. Mi racconta delle persone che mi hanno cresciuto ed amato. A toccarlo mi pare di sentirne ancora la voce e le carezze. Lo tengo in mano e rido. È un banalissimo bricco da cucina, qualcuno direbbe che è una caraffa...