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Visualizzazione dei post da agosto, 2025
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  Seme Parlo spesso a persone che solo io riesco a vedere, e a sentire. Non è follia: è solo desiderio di mantenere un legame con chi ho amato e che ora non c’è più. Così mi trovo a chiedere alla mamma di ripetermi i suoi racconti sul Brasile, e al papà se ha la pazienza di spiegarmi qualcosa sui differenziali, o sugli integrali, come se ancora avessi da superare una interrogazione.   E poi c’è la Gemma, e Fernando, che dovrebbero aggiornarmi ogni fine inverno od ogni primavera su come prendermi cura delle viti o degli ortaggi che mi ostino a coltivare in un angolo del giardino. Mille cose mi riportano alla mente i miei cari: le seggiole da sistemare, o la falciatrice che non parte … ed ecco Pier Lorenzo che mi rimbrotta, e le mie sorelle quando mi torna in mente Villabalzana e la lavanda che potavano ogni fine estate … Oggetti e pensieri che si trasformano in veicoli magici che mi portano a spasso nel tempo. Oggi, a Ronzone, Lucio è tornato dall’orto tenendo una piccola mela ...
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  San Lorenzo C’era una panchina a lato della strada che porta al bosco, a Ronzone. Allora, forse 40 o 50 anni fa, le strade erano ancora quasi tutte bianche e non c’erano lampioni per rendere sicuri i passi di chi osava muoversi di notte. La sera del dieci agosto di quell’anno le nostre due famiglie, i Viola di sopra e quelli di sotto, come allora si diceva, avevano deciso di salire fino a quella panchina. Avevamo portato un plaid , per scaldarci le ginocchia, e c’eravamo seduti a guardare il cielo per contare le stelle cadenti. Era buio, davvero; nemmeno il paese, sotto di noi, riusciva a schiarire la notte coi suoi pochi lampioni e con le finestre delle case illuminate.   San Lorenzo. Allora la sera si consumava così, a raccontarci le solite faccende di casa, e a contare le stelle. Le stelle cadenti. Ogni tanto una scia luminosa, e il grido “ eccola ”. Il fortunato che aveva veduto quel lampo di luce accresceva la lista dei suoi desideri. Gli altri moltiplicavano l’attenzio...
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Caneco Mi manca l’animo per gettarlo. Ormai la plastica è ingiallita e il disegno che ne ornava la superficie se ne è quasi del tutto andato.   Immagino sia diventato fragilissimo, incapace di sostenere anche l’urto di una caduta. Insomma, non è quasi più utilizzabile, è cioè pressoché inutile. Ma l’ha comperato la mia mamma, forse negli anni sessanta. Lo usava ogni giorno in cucina: le serviva a misurare le dosi di acqua e farina. Alla Gemma serviva invece per annaffiare i gerani: è la quantità giusta per tre vasi - diceva - e poi ha il beccuccio e a terra non finisce neanche una goccia.   L’ho ritrovato in sgabuzzino in montagna, a Ronzone. Anche la Gemma non l’ha più ritenuto adeguato per portarlo con sé a Vicenza. L’ho ereditato io, e mi guardo bene dal buttarlo. Mi racconta delle persone che mi hanno cresciuto ed amato. A toccarlo mi pare di sentirne ancora la voce e le carezze. Lo tengo in mano e rido. È un banalissimo bricco da cucina, qualcuno direbbe che è una caraffa...