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Visualizzazione dei post da settembre, 2023
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Fatica Quanta fatica costava tenere pulita ed in ordine la casa! Da bambino proprio non ci pensavo. A parte qualche lavoretto che mi veniva chiesto per tenermi impegnato e non combinassi pasticci, più spesso venivo sgridato se entravo in casa con le scarpe sporche di terra o se lasciavo sparse le mie cose di qua e di là, senza riporle in ordine dopo l’uso che ne avevo fatto.   Riemerge il ricordo della Gemma che, a Vicenza, faticava a stendere la cera sui pavimenti, e poi a lucidarli strofinando pezze di lana fissate sotto le setole corte e dure di un attrezzo pesantissimo di piombo che tutti in casa chiamavano gros’sola : uno strumento di tortura, dal quale la Gemma si liberò solo quando il papà finalmente acquistò la prima lucidatrice.   Dai nonni, sul monte, i pavimenti di legno venivano invece grattati con la paglietta di ferro, prima grossa, poi sottile. Una volta tolta la polvere della vecchia cera, si stendeva quella nuova; lo si faceva rigorosamente a mano e in ginocchio. Ricor
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  Opinioni Comincia l’autunno, mi scrive Fabio dal Canada. Me lo mostra anche con una foto.   Gli alberi intorno a casa sua stanno virando verso i colori della nuova stagione.   Succede anche qua, benché non si distinguano i segni dell’avvicinarsi d’ottobre da quelli del caldo anomalo di questi giorni e del secco che in giardino è tornato a tormentare gli alberi ed il prato.   Mi prende la malinconia. Mi succede sempre così quando avverto che sta terminando qualcosa. Che spettacolo! Commenta qualcuno. Si, è vero, sono colori stupefacenti. Però il verde brillante era segno di vita, mentre queste pennellate di rosso e di oro mi fanno pensare alla fine della bella stagione .   Lo sottolineavo anche a Ronzone, tempo fa, guardando l’arancio del cielo infiammato dal coricarsi del sole dietro le creste dell’Adamello.   Guarda che meraviglia di colori! Mi dicevano.   Si, ho risposto, sta morendo il giorno! Franco  
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  Dalla Caro amico ti scrivo … cantava Dalla.   Che continuava con: … c’è una grossa novità …   Bello! - ho pensato - copio l’ incipit di Dalla e comunico agli amici la mia grossa novità: sistemo il blog in soffitta ! Ho subito cambiato idea. Devo portar rispetto per Lucio Dalla e la sua poesia.  Così, un po’ banalmente, con quattro parole e un velo di malinconia ho informato gli amici che avrei smesso di violare la loro tranquillità mattutina.   Quattrocento post sono una valanga, uno tsunami . Una cascata assordante di parole. Quanto buono è invece il silenzio, da gustare col caffè, due biscotti e la marmellata di arance! Non attendevo risposte al mio messaggio … ed invece eccole qua, con molti segni di simpatia e di affetto che continuano ad arrivarmi.   “Che non sia un addio, ma solo un arrivederci”, mi è stato raccomandato. Mi sono commosso.  E la malinconia? …   proprio  non c’è più.  è    tornato il sole … ho pensato; è stato vento di burrasca …  passato in fretta. Franco
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  Parata Era la prima parata militare che si faceva a Vicenza, dopo la guerra. Penso che fosse il due giugno, qualche anno dopo il referendum. Forse già andavo in prima, e la scuola era finita da poco. Ho memoria di una certa tensione, in casa: i miei fratelli si erano sistemati sul poggiolo con delle sedie e volevano vedere i soldati. Il papà, invece, di soldati e di armi non voleva nemmeno più sentir parlare. Forse riviveva il senso della sconfitta, e quello dell’occupazione. Gli Americani li abbiamo in casa - ripeteva spesso, riferendosi alla caserma che accoglieva le truppe USA, a pochi passi da noi, e ai militari ubriachi che ogni notte sciamavano per la città.   Scuoteva la testa, il papà; la parata gli pareva una presa per i fondelli.   Quando il fracasso dei passi cadenzati dei soldati in marcia e quello dei motori arrivò fin dentro casa, anche il papà uscì sul poggiolo a vedere. Brontolava, però, nel vedere gli ufficiali d’alto grado sfilare sulle camionette. Si commosse, inve
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  Bombe I ricordi sono come le ciliegie. Uno tira l’altro, e non si finisce mai di stupirsi di fronte al mare della memoria che pareva perduta.   Ecco la mamma, in cucina, che brontola ai figli e al marito affacciati alle finestre … Altro che camicie di seta! Pensate ai bombardamenti - sbotta infastidita dalle battute sul periodo di guerra. Guarda fisso il papà e Pierlorenzo: pensate alla scheggia di bomba che conserviamo nel cassetto del tavolo, in tinello!   Si riferiva ad un pezzo di ferro contorto, scuro come fosse stato appena tolto dal fuoco. La mamma mi aveva raccontato che quel frammento di ferro era piombato in casa trapassando l’imposta della camera in cui dormiva nonna Adele, la mamma del mio papà, e si era conficcato nella testiera del suo letto, giusto due spanne sopra il cuscino. Quella scheggia, in famiglia, era venerata come una reliquia.   Per il papà era il segno della fortuna; per le donne di casa era invece memoria di una grazia ricevuta per intercessione dalla Mad
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  Economia Sono passati due jet , velocissimi, sopra casa.   Istintivamente ho alzato gli occhi, per vederli, e ho pensato ai disgraziati che ogni giorno, sentendo rumori come questo, s’aspettano lo scoppio di una bomba.   S’è acceso un ricordo di quand’ero bambino: un aereo volava proprio sopra casa, a Vicenza, ed il rombo del motore era assordante e inquietante.   Erano tutti corsi alle finestre a guardare il cielo. Erano molti gli aerei che passavano e ripassavano sui tetti della città. Era una intera squadriglia, ma a me sembrava che uno in particolare scendesse verso casa nostra e la sfiorasse con le ali, pochi metri sopra ai comignoli. È un caccia - aveva subito sentenziato mio fratello Pierlorenzo - stanno addestrando i piloti … è arrivato un nuovo stormo all’aeroporto. Aerei americani … .   Mi entusiasmai, e provai a domandare spiegazioni a mio fratello, che sembrava saper tutto di aeroplani, motori, e armamenti. Continuavo a guardare verso il cielo: quell’aereo volava rasente
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  Colazione Era impossibile non farmi sentire, e vedere. L’ osteria , se così si chiama anche in Sardegna, apriva la porta giusto davanti all’incrocio tra la via centrale di Orgosolo e la strada bianca che portava al Supramonte . Ci arrivavo col furgone/laboratorio tra le quattro e mezza e le cinque del mattino. Cercavo d’affrontare la svolta in silenzio, quasi in folle; ma poi dovevo inserire la prima, e in quel momento i quindici operai forestali erano già tutti lì, fuori dalla porta, a offrirmi i loro consigli.   Bene, dottore, ottima manovra. Ora parcheggi e venga a fare colazione con noi.   Bastava l’idea, e mi si chiudeva lo stomaco. Però la prima cosa che mi avevano insegnato appena arrivato sull’isola era: mai rifiutare l’ospitalità e la cortesia di un sardo, soprattutto se è di Orgosolo, o di quelle parti. Un sorriso, un grazie … e poi:   “ho anch’io del Cabernet Franc di Vo’, e del salame di Chiampo …”. Sul bancone era già pronta la loro colazione, abbondante, per la compagn
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  Spiedini Orribile. Fu un’esperienza orribile. Mi avevano invitato ad una festa, una tradizione che, da qualche centinaio d’anni, si rinnova a fine giugno nel giorno di San Giovanni. Accettai con entusiasmo: a chiedermelo era stato l’amico Mereu , il pastore di maiali col cuile a qualche passo dalla mia postazione di ricerca, al Supramonte di Orgosolo.   Impossibile negarmi. La tradizione prevedeva una gara tra i ragazzi del paese: vinceva chi più velocemente, col coltello, interveniva sui maiali in modo che smettessero di combattere per le femmine e ingrassassero velocemente, crescendo di valore.   Giocavano a squadre, ognuna formata da tre ragazzi: due dovevano acchiappare il maiale lasciato libero all’interno di un recinto, il terzo era il “ chirurgo ”. Un centinaio di porcelli, forse un minuto per ciascuno, e il risultato finiva in una secchia: due o tre secchie di testicoli ! Acqua ce n’era poca al Supramonte: i pastori più anziani pulivano, come meglio potevano, quel raccolto s