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Visualizzazione dei post da maggio, 2023
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  UFO Quei dati anomali ci fecero discutere a lungo: indicavano forti bagliori che colpivano gli strumenti sistemati su di un alto traliccio appena dentro al bosco, a San Vito di Cadore, dove da poco avevamo rinnovato il vecchio laboratorio di Ecologia.   Erano dati che non avevano senso! Avevamo sprecato metri di carta speciale che una ditta tedesca ci vendeva a peso d’oro per registrare i grafici delle condizioni d’ambiente e le contemporanee risposte fisiologiche degli alberi del bosco.   Veniva registrata anche la luce riflessa dalla luna, e con ottima precisione. Luna nuova, quella notte: non si capiva dunque a cosa fossero dovuti quei picchi di “ luce ”, quegli strani e improbabili bagliori . Ci venne il dubbio che gli strumenti fossero usciti di taratura.   Ci costò un occhio il responso fornito del tecnico che ne certificava il perfetto funzionamento.   ENEL quasi si scocciò con la nostra Amministrazione quando chiedemmo se ci fossero stati sbalzi di tensione, quella notte. Tu
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  Punizioni A me pareva di essere proprio un bravo bambino. Gentile, educato, servizievole, sempre pronto ad obbedire ad ogni desiderio di chi mi stava intorno. Non deve essere stato proprio così! Ricordo, infatti, che la mamma ogni tanto si arrabbiava con me e mi minacciava urlando cose terribili mentre io scappavo il più lontano possibile da lei. Ricordo anche che un paio di volte la minaccia era accompagnata da gesti che erano più eloquenti delle parole, come la mano alzata a mostrarmi che lei era pronta a colpire, bastava che mi raggiungesse. Un paio di volte mi agitò contro anche il guinzaglio del cane Dick, che aveva l’impugnatura di cuoio e il resto era fatto con robusti anelli di acciaio. Fu lo stimolo perfetto per farmi correre ancora più velocemente. Anche il papà si arrabbiò con me, forse solo quattro o cinque volte … Ricordo che un giorno mi rincorse dallo studio fino in cucina. Lì mi misi a correre intorno alla tavola: non sarebbe mai riuscito ad acchiapparmi. Quando guada
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  Gita L’anno scout si concluse con una gita a Venezia.   Il viaggio col gruppo di amici, tutti insieme, e poi un giro per Venezia valevano ben la levata di buonora, di domenica, l’unico giorno in cui si poteva dormire un poco di più. La prima forte emozione fu vedere la corriera ! Una meraviglia, modernissima, dipinta in due toni di azzurro, il colore dell’Italia del calcio; per questo piacque a tutti. Il motore si mise in moto e tutti ne avvertimmo la potenza. Ad uno dei capi piacque anche l’odore dell’olio e della nafta che filtravano dallo scappamento. Odore dei motori italiani - disse - piccoli e potenti, leggeri e indistruttibili … grazie a questi motori - sentenziò -   nelle gare vincono sempre le Ferrari, le Lancia e le Alfa Romeo. Tutti annuirono. Io mi chiesi se la Ferrari avesse mai fatto motori per corriere. Ma tenni il pensiero per me. Venezia proprio non la visitammo. C’era un barcone ad aspettarci, e subito via, per canali sui quali non si affacciavano bei palazzi e sp
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  Angeli Il fiume faceva da confine. Al di là del vecchio ponte degli Angeli stavano i cittadini, i signori. Al di qua pareva che ci fosse la periferia, e la campagna, popolate da villani . Qualcuno protestava: le mura della città le vedete dalle finestre della scuola: sono al di qua del Bacchiglione! Oppure: guarda che San Pietro è la chiesa più antica della città! Non so se fosse vero, forse si … ma chi abitava in Corso Palladio, o chi vedeva dalle finestre di casa sua Porta Castello, la Basilica, il Teatro Olimpico, o Palazzo Chiericati, faceva spallucce: lui era diverso, era come se avesse in tasca una patente di nobiltà.   Io mi accontentavo di vedere Palazzo Regaù, che mi pareva il più bello di tutti quelli di Vicenza, anche se mi avevano fatto notare che lì c’erano i dormitori pubblici , e che sotto ci stava il Jonny’s Bar , quello frequentato dai ‘ mericani . Allora, perché vieni a scuola qua? Era la domanda buona da fare. Nessuno la fece mai. Si preferì la guerra, cioè fare a
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  Rimedi Terribile! Mi tornano in mente racconti terribili fatti dalla mamma o dalla Gemma. Qualche volta anche dal papà. Ne riporto uno su tutti, che spesso veniva riproposto senza varianti dalla Gemma.   La povertà significava, per molte famiglie, l’impossibilità di accedere alle cure mediche essenziali. Ci si arrangiava come si poteva. Immaginate una banale ferita alla mano. Se la ferita era profonda, bisognava disinfettarla; a malincuore allora si usava il vino, oppure l’aceto: insomma, si faceva ricorso a quel po’ di alcol o di acido acetico che c’era in casa, nella convinzione che il bruciore fosse segno che il rimedio funzionava.   Pur sapendo nulla sull’azione battericida dell’ ammoniaca , nei caso di ferite più importanti si faceva ricorso alla pipì delle vacche. Si aspettava nella stalla il momento propizio e subito si metteva la parte ferita sotto lo scroscio: ammoniaca fresca, pronta all’uso. La Gemma non mi ha mai detto se la pipì di vacca venisse raccolta per ripetere pi
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  Doppietta Passai la notte battendo i denti per il freddo, per il digiuno forzato, per la debolezza provocata dall’emorragia, per la tensione patita in ospedale.   Il giorno dopo non riuscii a studiare. Piero mi portò qualcosa da mangiare, ma nonostante lo stomaco pieno, il mondo continuava a girarmi intorno, confusamente.   Nel tardo pomeriggio provai a dormire, ma quando mi coricai avvertii un dolore acuto all’orecchio. Due ore dopo il dolore si era fatto lancinante, insopportabile.   Sul principio della notte strisciai fino alla stanza di Piero. Non ebbi bisogno di parlare: capì al volo. Mi portò di peso alla sua macchina. Notai che era stato previdente e aveva risolto il problema della portiera con la cinghia dei pantaloni passata intorno ai montanti dei due finestrini. Anche se il vetro dalla mia parte non poteva essere chiuso del tutto, almeno non dovevo tenere il braccio fuori dall’auto, a gelare.   Al pronto soccorso di Otorino, vedendomi, si misero a ridere. Non facciamo scon
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  Millecento Venne subito nella mia stanza; ero seduto per terra e tenevo la testa appoggiata alla seduta della sedia.   Ti porto all’ospedale - mi disse Piero, il capo del Movimento - qua ci vuole l’intervento di un Otorino …   Cercai le chiavi della mia macchina, ma lui rifiutò: non guido auto di altri … c’è la mia, qua fuori. Era una vecchia Millecento , e il rombo del motore, quando si avviò, tradì subito l’età. Piero mi fece salire prima di mettersi al volante. Abbassò il finestrino dalla mia parte, dicendomi: tieni la portiera con la mano di fuori, temo che si possa spalancare all’improvviso … non sarebbe opportuno cambiare reparto, magari ortopedia, a causa di una accidentale caduta …   Rideva, il Piero, canticchiando il motivetto di Jannacci sull’Armando; la sua battuta mi fece però dimenticare, almeno per un attimo, i miei problemi. Al Pronto Soccorso di Otorino mi fecero subito entrare in ambulatorio, dove venne di corsa un giovane medico, capelli corvini, pelle olivastra, ar
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Movimento Alla mia età capita sempre più spesso.   In questi giorni ho letto sul giornale la notizia che un collega, un altro amico d’Università, se ne è andato.   L’avevo conosciuto quasi sessant’anni fa. Lui era medico otorinolaringoiatra, già specializzato, io frequentavo il terzo anno ed ero ospite della Casa dello Studente Negri.   Fu un incontro rocambolesco.   Nella Casa cominciavano a serpeggiare i segni di quel forte disagio che si sarebbe manifestato, di lì a poco, con occupazioni e chiassose manifestazioni in città. Nel salone della Casa si tenevano, quasi ogni sera, vivaci discussioni, e le voci si facevano sempre più alte a causa dei frequenti bisticci tra gruppi di studenti che non la pensavano proprio allo stesso modo.   Ricordo un ragazzo che primeggiava tra i più accesi sostenitori della fazione che poi sarebbe stata conosciuta come Movimento Studentesco, quella che proponeva l’occupazione delle Facoltà.   Era sicuramente sveglio e preparato. Studiava nella sala comune
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  In aula La maestra ci condusse in aula, che era molto grande. E molto buia.   Le finestre si aprivano verso il giardino, così si potevano vedere le mura della città, e gli ippocastani che, carichi di foglie e di ricci, sembravano piegarsi verso i vetri, come per spiarci. I grandi alberi coprivano il cielo, lasciando passare ben poca luce, anche se ormai il sole era alto e avrebbe dovuto indorare tutta la facciata della scuola, rivolta ad est. Pensai al nonno, che brontolava per un piccolo melo che cresceva in orto, proprio davanti alla finestra della sua cucina. Ma che mele - diceva dopo un poco, come se ci avesse ragionato - i frutti sono proprio buoni, e valgono più di un po’ di ombra … poi d’inverno le foglie non ci sono più … Prima dell’inverno alla maestra Moretti e alla nostra classe venne invece assegnato il turno di pomeriggio. La sera faceva presto buio, in aula, e le quattro lampade che pendevano dal soffitto, che era molto più alto di quelli di casa contro i quali brontola
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  Calibro Ci facevano studiare e misurare “ pezzi ” meccanici di cui si doveva elaborare il disegno in maniera utile per poterli poi ricostruire in officina. A me erano stati destinati un pistone di Vespa ed una biella, forse di un autocarro.   Per le misure avevo provato ad arrangiarmi col righello e con il compasso. La bozza del disegno mi era riuscita bene: aveva forme precise ed offriva al “committente” quanto serviva in fonderia, allo stampatore oppure al tornitore per ricostruire pezzi identici all’originale.   Il professore aveva attentamente valutato il mio lavoro, ma poi era uscito con una domanda che mi aveva tagliato le gambe: sono precise le quote ? Non si trattava di montagne, ovviamente, ma delle misure riportate con righe e frecce ai margini del disegno.   Per terminare il tuo progetto hai tempo fino alla prossima lezione, aveva concluso il professore.   Ho parlato col papà del mio problema di rilevamento preciso delle misure dei pezzi ; ero preoccupato, ed avvilito.