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Visualizzazione dei post da giugno, 2023
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  Fortuna La Gemma aveva il terrore delle armi da fuoco. A casa nostra c’era lo schioppo di mio fratello Fernando, che lei voleva fosse sistemato sopra l’armadio, fuori dalla portata delle mie mani, anche se ci avevo provato salendo sulla sedia e poi sul tavolino della stanza dei miei fratelli.   Perché non posso toccarlo? Il perché si chiamava Bepi, che era il fratello più piccolo della Gemma.   La Grande Guerra era finita da un po’, e i ragazzi del paese erano tornati a giocare liberi come il vento, raccontava lei. Un gruppetto aveva trovato una cartuccia, di fucile o di pistola non faceva differenza. A colpi di pietra s’ingegnavano di cavare il proiettile dal bossolo per recuperare la polvere.   Che invece esplose.   Dove era finito il proiettile? Tra tutti i ragazzi chini a guardare il sasso che batteva sulla cartuccia, il proiettile si piantò in mezzo al petto del Bepi. Piantato in un osso, e così vicino al cuore che i chirurghi di allora non se l’erano sentita di operare. Ce l’ha
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  Sorridi ! Avevo quattro anni, da poco compiuti. Forse era una domenica dicembrina. Quel giorno faceva freddo e il cortile era bianco per la neve caduta durante la notte. La mamma mi aveva intabarrato con cappotto, sciarpa stretta intorno al collo, cuffia di lana in testa e manopole. Non mi piaceva quella sciarpa. Pizzicava sulla pelle; avrei voluto grattarmi il collo e il mento, ma le manopole di lana aggravavano la situazione. A pensarci … mi prudevano anche le orecchie a causa della cuffia. Se non bastava il prurito, quella cuffia aveva un ridicolo pon pon , roba da bambine. Andiamo Franco - mi aveva detto il papà - andiamo a fare qualche foto, su a Monte Berico. L’idea delle foto mi piacque tantissimo, anche se non avevo idee chiare su come si facessero le foto. Il papà aveva però comperato la sua nuova macchina fotografica, una Voigtländer , come aveva suggerito lo zio Orio.   Splendida. Volevo proprio provarla anch’io. Quella volta non ci riuscii. Dopo i quattrocento gradini del
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Indiani La sera, qualche volta, si andava a mangiare in riva al mare. Veniva scelta una cala lontana dalla città, dove Carlo e suoi amici potevano accendere il fuoco per cuocere cibo allo spiedo, o sulla brace.   Poi, dopo lo spuntino , col bicchiere di vino fresco in mano, cantavano e chiacchieravano. Sempre di politica. Mi sentivo grande anch’io, in quelle serate passate in mezzo a gente preparata ed intelligente. Dovevo solo tenere la mamma e la Gemma lontano dalle mie orecchie, perché ogni canto ed ogni discorso avrebbero avviato la serie ininterrotta di avemarie necessarie ad evitare che quei mangiapreti finissero fulminati all’istante. Una di quelle sere era cominciata la revisione della storia americana.   In barba ai film fino ad allora proiettati nei cinema, gli eroi erano diventati gli indiani; i cattivi, violenti e crudeli, erano le Giacche Blu.   Viva Cavallo Pazzo! Viva Toro Seduto! Custer se l’è meritata! Cavallo Pazzo???   Cavallo Pazzo divenne il nomignolo di Alberto,
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Bassotto Che buffo! Che simpatico! Che bello! E poi furbo, intelligente, testardo, affettuoso … gli attributi si sprecano a voler definire questo cagnolino. È Bart, il compagno di Gabriele.   Ecco, Gabriele non me lo ha ancora detto, ma Bart è anche il miglior rimedio , da attivare quando c’è un momento di contrarietà, oppure quando il piccolo non è d’accordo con una decisione presa da qualcun altro.   Bart riporta la pace, la calma, il sorriso.   Insomma, è una meraviglia. Mi ci sono affezionato anch’io, che ero contrario all’idea di un altro cane che mi girasse per casa, dopo Argo e Tea. Ma mi ha subito conquistato, coi suoi baffoni, con le zampine corte, con gli occhi che sembrano dire … ti voglio bene, ma vedrai cosa ti combino … E poi corre come una saetta. Mai lo avrei immaginato, ma questo bassotto di certo non rispetta i limiti, come le Ferrari, anche quando sono in città.   Non è di certo sordo: quando vuole, sente il rumore delle crocchette che cadono nella sua ciotola anc
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  Premio Carlo ne andava matto. Non so se per il sapore, o per il profumo penetrante, o la leggerezza … Forse più d’ogni altro aspetto ne adorava il nome, che sapeva di Sardegna: Ichnusa .   Sulla bottiglia della birra campeggiava poi lo stemma dell’isola: i quattro mori con la fascia annodata sulla fronte. Una bottiglia grande di birra ed una di gassosa. Gelate e mescolate lentamente insieme in una caraffa. Era il premio della partita a dischetti, il sostituto del gioco delle bocce, che due squadre di amici ogni giorno si contendevano sulla sabbia del Poetto , la spiaggia di Cagliari.   A dischetti facevano giocare anche me, che non ero di certo bravo e di birra ne bevevo ben poca, vista l’età; ma l’ospitalità e la cortesia dei Sardi sono proverbiali.   Come la pazienza! A mezzogiorno, o alle sei di sera, dopo il bagno e la partita, la birra, con la gassosa gelata, era una delizia che comunque andava condivisa coi perdenti, anche se erano continentali … Franco
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  Lacerazione Mi fu assegnatoLucio   come compagno di banco.   Era alto quasi come me, ma due volte più robusto, e decisamente più forte. Era simpatico, gentile, sempre sorridente. Mi piacque, e desiderai di farmelo amico. L’occasione arrivò molto presto. Molti miei compagni parlavano solo in dialetto. Pochi conoscevano l’italiano: capivano quello che la maestra diceva, ed imparavano in fretta, ma quando parlavano tra loro, ed anche quando rispondevano alle domande della maestra, quasi mai riuscivano ad esprimersi correttamente in italiano.   Fu così che la maestra inventò un gioco: bisognava trovare la parola italiana corrispondente a quella che lei proponeva in veneto .   C’era un premio per chi dava il maggior numero di risposte corrette: un paio di caramelle di zucchero per chi non sbagliava mai, una menzione d’onore per chi commetteva un solo errore, una segnalazione di merito per soli due errori. Una nota di biasimo spettava a chi sbagliava di più.   La maestra chiese a Lucio
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  Bombastium Di sicuro pochi se ne ricordano. Forse solo qualcuno che ha sulle spalle tanti anni quanti ne ho io, purché, da bambino, si sia dedicato come me alla lettura dei “classici”, tra cui Topolino . Ero malato, e mi faceva male alla gola. Ero tenuto prigioniero nella camera della mamma, che ogni tanto veniva a coccolarmi e a portarmi il suo rimedio universale, una specie di Teriaca Veneziana , composto di Marsala e Pavesini , oppure Zabaione col Marsala e Pavesini .   Il Marsala, per quanto in piccole dosi e poco alcolico, mi sembrava lava ardente che mi si piazzava nella gola infiammata e me la cauterizzava, lentamente e dolorosamente. Bruciava come la Tintura di Iodio che la mamma mi passava col pennellino sulle sbucciature che mi procuravo sulle ginocchia, cadendo. Da allora ho sempre odiato il Marsala.   Per tenermi tranquillo e far sì che il tempo scorresse più velocemente, la Gemma mi portava da leggere dei giornaletti, tra cui Topolino .   Sta di fatto che su quelle s
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  Vignale Mi ha telefonato Alberto, mio nipote. Un saluto svelto, prima di imbarcarsi per tornare a casa, in Sardegna. Son salito a Villabalzana … c'è qualcuno interessato ai campi, che ormai rischiano di diventare boscaglie.   Sommerso dalla nostalgia, ho cercato una foto di quand’ero bambino, forse quatto o cinque anni, con il papà e la mamma.   Eccoci qua, sulla “ strada ” che corre tra il Campo Moro e il Vignale .   Ho usato le iniziali maiuscole; sono nomi propri, quasi di persona .   Lì, dai nonni, la terra era infatti come le persone, ed ogni campo aveva il suo nome. Come ogni altra persona, la terra ricambiava le attenzioni, e pesava con precisione quelle che le venivano date.   Moro da sempre indicava che quel piccolo appezzamento pativa dell’ombra dal bosco tutto intorno; nessuno però si sarebbe mai sognato di tagliare gli alberi per dare più sole alla campagna. Un po’ alla volta, o rapidamente, la terra del campo sarebbe scivolata a valle, giù nello scaranto . Vignale
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  Patria I miei insegnanti erano cresciuti nel culto della Patria. Il primo a dimostrarlo fu il maestro Lucio. Lo ricordo mentre ci spiegava i colori della bandiera: verde come i boschi dell’Altopiano, bianco come le nevi delle Alpi, dall’Adamello al Friuli, rosso come il sangue versato dai nostri eroi caduti su quelle patrie montagne . Continuò il professore delle medie, che più volte citò un aforisma, riportato con grande enfasi nel libro di storia, che sottolineava lo spirito patrio dei cittadini di Sparta e delle madri di quella città. Queste donne, consegnando lo scudo ai loro figli che partivano per la guerra, li ammonivano dicendo: “torna con questo scudo, oppure sopra di esso”. Significava che l’onore era tutto per gli spartani. O si vinceva, o si moriva in battaglia, nel qual caso i compagni, o gli anziani di Sparta, avrebbero riportato a casa il guerriero eroicamente caduto sul campo, adagiato, in segno di onore, sul suo grande scudo. Quello stesso aforisma ce lo ripeté al li
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Favole Guardo la nonna che sta leggendo la favola di Pollicino al piccolo Gabriele.   È una nonna brava e coscienziosa: l’ascolto anch’io, e capisco che sta forzando il racconto per renderlo meno terrifico … meno gotico, si direbbe oggi.   Dell’ Orco che mangia i bambini non vuole proprio far cenno. Mi tornano così alla mente alcune sere di una vita fa, quando la mia mamma mi leggeva brani delle fiabe dei fratelli Grimm o di Andersen. Il libro lo teneva in mano solo lei. Un paio di volte però mi è capitato di sfogliarlo, di nascosto.   Non lo avessi mai fatto! Le illustrazioni facevano paura e i racconti che avevo sentito leggere tiravano in ballo streghe ed orchi, folletti malvagi, maghi e magie che evocavano se non proprio la morte, sempre la fame e la disperazione. Ma siamo matti? Mi chiedo oggi … ma chi farebbe mai vedere certe immagini ai bambini? E quelle storie che ho intravisto nei libri che giravano per casa quando ero piccolo, chi mai poteva averle concepite per destinarle
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  Fortuna Oggi mi vien da pensare che il mio papà non fosse poi molto coerente. Brontolava sempre quando vedeva qualcuno dedito al gioco, ai concorsi, alle scommesse da cui venivano, raramente, consistenti vincite in denaro, o in gettoni d’oro , come diceva la presentatrice della televisione. La parola oro fa sempre sognare! Ero piccolo, però ricordo che ogni tanto la mia famiglia si metteva intorno al tavolo e compilava la schedina del totocalcio . Il papà, che di calcio proprio non se ne intendeva, usava una trottolina su cui erano impressi i tre possibili risultati: 1, X, 2 e riportava sulla schedina il segno che compariva quando la trottola smetteva di girare.   A volte Pierlorenzo sbottava sostenendo che tra Juventus e SPAL c’era una bella differenza, e che se la Juventus giocava in casa il risultato era quasi scontato. Il papà, che di matematica si intendeva, gli obiettava che la sicurezza statisticamente non esiste. E poi - diceva - si guadagnerebbe molto di più se dovesse v