Tirlindana La barca di Mario era bellissima. Di legno chiaro, col fasciame d’assi sovrapposte così da evidenziare la linea slanciata e filante dell’imbarcazione, che era ampia abbastanza da ospitare fino a quattro persone. Era ormeggiata al lago di Levico, dove il mio compagno di classe aveva una splendida villa … la casa di campagna, dicevano i suoi. Ho trascorso molti bei giorni al lago, con Mario. Mi insegnarono a pescare dalla barca, con l’antichissima tecnica della tirlindana . Sulla fiancata, verso poppa, veniva montata una robusta bobina di filo di rame. All’estremità di quel filo veniva sistemato un secondo filo di nylon , dunque trasparente e quasi invisibile, cui infine si legavano le lenze, cioè gli ami, ciascuno dotato del proprio sottile filo di nylon . Era una sequenza di trappole che aumentava la probabilità, o la speranza, di qualche buona cattura. Quando la barca raggiungeva la giusta velocità, il pescatore calava in acqua il filo per una ventina di metri, forse an
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Visualizzazione dei post da novembre, 2022
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Purgatorio Ci ho pensato almeno per un’ora ed ho finito col chiedere permesso a Michele - posso usarla? Mi aveva inviato un’immagine stupefacente, intitolata “A utunno e Martin pescatore sul Piovego ”. Uno scatto di sua figlia Irene. Quando ho ricevuto il messaggio dapprima sono rimasto a bocca aperta. Poi ho cominciato a misurare e a valutare la fotografia, cioè la varietà dei colori e la loro distribuzione, quella punta d’azzurro nel mezzo, le tonalità dell’oro e del bronzo e l’intrico dei rami. Non vedo l’acqua, ma mi pare di sentirne il gorgoglio, e la purezza, eguale a quella dell’aria. Una natura assolutamente perfetta. Basta non conoscere il Piovego, e questa parte del Veneto, che sempre più spesso soffoca tra onde di nebbia e di smog, soprattutto in questa stagione. I miei pensieri sono corsi a qualche mese fa, ad una immagine di Martin pescatore che si tuffava nell’acqua. Ci avevo scritto un post , anche allora, mosso da una puntura di invidia. Anche oggi ho ripensa
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Harlechino Insomma, si continua a discuterne. Ogni volta che si guarda quell’opera, che Murer ha intitolato Arlecchini, si finisce col confrontarci su quella compagnia di ragazzi. Buoni o malandrini? Non mancano mai gli argomenti. Ci sono secoli e secoli di giudizi sulla qualità morale di Arlecchino, ed un motivo ci deve pur essere se questa maschera genera contrasti, non solo tra di noi. Noi, in verità, quasi mai siamo andati a fondo della questione. Ci siamo sempre limitati all’aspetto di Arlecchino, ai nostri ricordi d’infanzia, ai burattini del teatrino, alle maschere che ci piaceva indossare; qualche volta siamo arrivati a citare Carlo Goldoni, recuperandolo dai ricordi delle prime trasmissioni in TV, a qualche lettura fatta ai tempi del liceo, con una insicura puntata, molto vaga, alla comédie française . Chiacchiere, insomma. Ne ho già scritto sul blog . Ma è stato come soffiare sul fuoco. In una nuova discussione ho ricordato che il nostro personaggio furoreggiava sulle
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Mail Mi è tornato sotto agli occhi un vecchio articolo che tratta dell’impatto ambientale legato all’uso del computer. L’articolo non va molto per il sottile, e comincia assestandomi un pugno in pieno petto: “otto e-mail - c’è scritto - emettono tanta anidride carbonica quanta ne viene prodotta da un'auto che percorre un chilometro di strada”. Un dato sorprendente, allarmante. Il resto dell’articolo è una sequenza di dati e di valutazioni altrettanto forti . Ad esempio, mi informa che una mail di un megabyte consuma molta energia, l’equivalente di diciannove grammi di anidride carbonica. Ma poi non c’è solo il consumo del computer sul quale sto scrivendo e dal quale invierò la mail; bisogna anche tenere conto del consumo dei molti server che vengono coinvolti nel traffico di posta elettronica, che prima di arrivare a destinazione corre per tutto il mondo e del quale so poco, o nulla. Il confronto tra auto e computer mi ha turbato. Provo a fare un paio di conti: nel momento
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Tappi Era un tappo di ceramica, con una vite simile a quella delle lampadine. Si avvitava su di un bicchiere dello stesso materiale, dove arrivavano i fili della luce. Tra i due passava la corrente grazie ad una striscia di metallo che faceva contatto tra le viti. Era il fusibile , fornito, già tarato, dalla Compagnia Elettrica, o dall’elettricista. A casa nostra c’era un tappo quasi in ogni stanza. Quando capitava un corto circuito, o si consumava troppa corrente, in un attimo saltavano i tappi : cioè si fondeva il fusibile . Bisognava cambiarlo. Era vera emergenza, perché quasi mai in casa si trovava un fusibile di ricambio. Cin Cin …. il papà alza il bicchiere dello spumante natalizio. Subito dopo recupera la stagnola, che liscia e taglia a misura, in strisce regolari Anche quest’anno Babbo Natale mi ha portato i fusibili!!! … dice il papà, soddisfatto per il suo ingegno. Franco
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Tigrillo Il suo banchetto era pieno di cianfrusaglie, e avevo comperato da lui una statuetta. Sembrava una fusione in bronzo, e raffigurava un baffuto gattopardo: africani sia il bronzo, sia chi me lo ha venduto per qualche banconota. È un pezzo antico, mi aveva spiegato, contento, il venditore. Mi va bene come ferma-porta, avevo pensato. I ragazzi gli hanno pure dato un nome: Tigrillo ! Lo feci vedere a mio fratello, che era un gran burlone. Non ci pensò un attimo: ma guarda, esclamò soppesando il Tigrillo , ho appena venduto una macchina ad una fabbrica brianzola che produce cose così! Ci sono stato malissimo. Avevo confuso la Brianza con il Benin del XV secolo! Scavando nell’orto ho recuperato un ferro di zappa, arrugginito e consumato dall’uso e dal tempo. Ho sorriso al ricordo di mio fratello, e della fabbrica brianzola di cose vecchie. Franco
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Escher Sto leggendo sul giornale un articolo basato su una ricerca sviluppata da una nota università americana. Riguarda i sopravvissuti ad accidenti cardiaci e quanti sono stati sottoposti ad interventi che hanno portato alla temporanea sospensione della naturale circolazione sanguigna. Tutti costoro hanno manifestato una intensa attività cerebrale anche quando cuore e respirazione spontanea erano stati fermati. Lo studio riporta che l’attività cerebrale riguardava soprattutto la memoria, sia recente, sia passata, ma anche la percezione di quanto stava accadendo intorno al tavolo operatorio, tipo medici indaffarati, l’avvio della rianimazione e la sensazione di una separazione tra corpo e intelletto. Potete immaginare come la cosa mi abbia colpito. Ho subito provato a scavare nella memoria intorno a quella fine di gennaio di quattro anni fa. Posso subito escludere d’aver avuto consapevolezza di quanto stava accadendo attorno a me sul tavolo operatorio. Se ho avuto percezione di qual
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Falive Amavo la neve. La desideravo per il senso di pulizia che dava anche al paesaggio della città, per il silenzio che calava assieme ai fiocchi, per l’aria pulita che si respirava. Ne spiavo l’arrivo anche quando studiavo: cercavo le tracce dei primi fiocchi traguardando il muro delle case di là della strada, oltre il filare di ippocastani che circondava la casa. Che la neve stesse arrivando me lo suggeriva il Bondone, che si mascherava dietro una nebbiolina candida, la nuvola di neve che scendeva dalla cima appuntita del monte fino al piano di Sardagna, dove arrivava la funivia. Quando la nuvola bianca scendeva più giù, a mascherare la scogliera di dolomia che precipitava fino al fiume, significava che sarebbe nevicato anche in città. Seduti sui banchi, anche se il professore spiegava la sua lezione, quando prendeva a nevicare tutti si giravano verso le finestre. A volte anche il professore smetteva di spiegare, ed esclamava: guarda come viene … oppure in dialetto … come fi
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Previsioni Mi distraevo spesso, troppo spesso. Del resto le occasioni non mancavano. Una di queste è incredibile: l’immensa finestra della mia stanza, letto/studio, che si affacciava sullo splendore del Bondone e, sporgendomi un po’, anche sulla Paganella. Un ragazzo del liceo si sarebbe ben presto stufato del panorama; ma io cercavo di leggere anche il tempo, e di fare le previsioni meteo. Per questo interrogavo le nuvole e il vento, i pennacchi nebbiosi intorno alle cime delle montagne, le tonalità del verde dei boschi che molto dipendevano dall’umidità dell’aria. Oggi penso che se avessi dedicato ai miei libri lo stesso tempo e lo stesso impegno che concedevo al meteo, sarei stato il primo della classe! Beh, non ero l’ultimo, il che vuol dire che al posto della meteorologia altri miei compagni spesso coltivavano interessi diversi, quasi sempre con nomi femminili. Il mio obiettivo era prevedere la neve. Non quella che avrebbe reso difficile il traffico in città, cosa che prop
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Pàlon La foto non è particolarmente indovinata. Campo largo, con grandangolo, nessun dettaglio, non si coglie l’allegria dei ragazzi che hanno conquistato la cima della montagna. Peccato. Cercherò di rimediare con qualche parola … Seconda liceo, l’anno in cui si organizzano i viaggi studio per gli studenti. Le scuole povere si limitano ad un paio di giorni in una città d’arte, Roma, Venezia, Firenze. Le scuole ricche giocano su tempi più lunghi e su distanze maggiori, spesso all’estero: Parigi, Monaco, anche Londra. Noi Polentoni , studenti di una scuola per definizione ricchissima , sognavamo New York, Los Angeles, Honolulu … Da settimane ne discutevamo tra noi, con gli occhi lucidi per il desiderio: quale paradiso terreno ci sarebbe stato destinato? Ci venne comunicata la destinazione quando ormai si era a fine marzo. Come dire … fuori tempo massimo. Palòn … Monte Bondone, Comune di Trento. Cambiammo subito il nome: Pàlon, decisamente più esotico, affascinante! Si salì a pie
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Castagnaccio Andando a scuola, alle elementari, coi miei compagni di classe parlavo spesso delle faccende di casa, mentre tornando ci si chiedeva a vicenda cosa avremmo trovato per pranzo. In quel modo ho cominciato a capire che il mondo era mal ripartito: c’erano bambini che avevano di tutto, e nessun problema, mentre altri si dovevano accontentare di poco. La guerra era finita già da qualche anno, ma la distruzione si vedeva ancora ovunque, con le case sventrate dalle bombe e le strade rattoppate qua e là. La gente si arrabattava col lavoro, e faceva quel che poteva per tirare avanti la famiglia, giorno dopo giorno. Nessuno faceva caso alle “pezze sul sedere e sulle ginocchia”; quasi tutti i bambini ne avevano, e se non erano pezze, erano rammendi vistosi, quelli che la Gemma chiamava “sette”, per la forma dello strappo cui cercavano di mettere rimedio. Il grembiule nero nascondeva i vestiti, e almeno grazie a quello si era tutti eguali. Pochissimi potevano mangiare carne, ma le
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Ruare Ormai scompaiono sotto il fango, l’argilla rossa dei colli. D’autunno vengono coperte dalle foglie del bosco, che rendono la strada apparentemente piana, uniforme. Solo di rado ci passa qualche motocicletta: ragazzi che praticano il cross , lacerando il silenzio profondo di questi luoghi abbandonati da dio. Due cavalli salgono lentamente; sono montati da signori eleganti di una certa età, che osservano il bosco indicando i toni differenti del rosso e dell’oro delle foglie sciorinando il nome scientifico delle specie, in latino. L’antico e il moderno, mi vien da dire … Più nessuno nota le ruare , i solchi paralleli incisi nelle pietre di fondo del sentiero dalle ruote cerchiate dei carretti. Quanti secoli di passaggi sono stati necessari per scavarle così profondamente? Ricordo i carri dei contadini trainati dalle vacche: portavano il fieno nelle tese , almeno due volte all’anno, anche tre se d’estate pioveva a sufficienza. E poi c’era la vendemmia, e la legna da accumulare
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Duecento Sto cercando di scrivere il post numero duecento. Duecento sono tanti, sotto molti punti di vista. Qualche lettore fatica ad arrivare a pagina duecento di un libro. Scrivere duecento pagine è altrettanto stancante, perché è impegnativo rispettare la sequenza degli argomenti, mantenere le giuste relazioni tra i personaggi, porre attenzione alla concatenazione logica dei fili che si annodano alla trama del lavoro. Forse questo dovrei cancellarlo … ma cancellare costa, e molto, perché si butta via qualcosa di sé. Vedrò dopo, mi dico sempre; poi comunque il suo parere peserà … Anche limando, disfacendo e ricostruendo, cambiando di qua e di là, non è detto che si arrivi ad un risultato accettabile . Ci vuole il “ visto, si stampi ”, come si fa per i libri. Anche un post ha bisogno dell ’imprimatur. Mi si accende il ricordo della Sacrestia, quella in cui Lucio ed io ci si cambiava per fare i chierichetti: lì, appeso al muro, c’era l’ Indice , un foglio, grande come due pa