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Visualizzazione dei post da marzo, 2023
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  Colori In questi giorni i tulipani chiudono alle diciotto. Però aprono alle otto, e non fanno la pausa pranzo.   Dieci ore filate di colori sgargianti, che lasciano senza fiato. E poi ce n’è di tutte le razze, coi petali dalle forme più strane. Nessuno però pensa di farne una questione sindacale! A rileggere qualche pagina di storia … si potrebbe capire come mai, qualche secolo fa, ci sia stato qualcuno che ha sperperato fortune per portarsi a casa qualche bulbo di quei fiori introdotti in Europa dalla Turchia. Molti furono rovinati da questa follia.   Si dice che anche Rembrandt, che di colori se ne intendeva, vendette alcuni suoi quadri per comperare un solo bulbo di tulipano. Era il 1630. Un suo quadro venne ceduto per 1650 fiorini, mentre il bulbo, della varietà Semper Augustus , venne acquistato per 6000 fiorini.   Una famiglia operaia con quella cifra campava per tre o quattro anni. Insomma, per colpa di quegli stupendi colori, molti ricchi signori del tempo rimasero al verde.
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  Sport Non sapevo nuotare. Forse nemmeno Eugenio sapeva farlo. Il mare era invitante, con l’acqua pulita e limpida. La voglia c’era … ma tra il dire e il fare … Dalla spiaggia si protendevano verso il largo molti pennelli , di pietra, che servivano a proteggere la spiaggia dall’erosione; li chiamavano dighe .   Una di quelle dighe , in particolare, ci affascinava: era molto larga, e coperta di tavole che permettevano di passeggiare sospesi sull’acqua; entrava in mare per qualche decina di metri, e al termine si apriva in una rotonda , una piattaforma da cui i grandi si tuffavano senza rischi di sbattere contro il fondo. Lo facevano anche i miei fratelli. Mi pare ci fosse, nel mezzo della rotonda , un chiosco che vendeva bibite, gelati e caffè. Era quello che più ci attirava, ma le nostre mamme non ci sentivano da quell’orecchio, immagino per i prezzi assurdi che vi venivano praticati.   Andiamo alla rotonda - ci disse la zia mentre sguazzavamo nell’acqua bassa vicino a riva - andiamoc
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  Nuvole Giornata nera, da dimenticare. Problemi e pensieri che ci hanno sommerso con una sofferenza continua.   Finirà questa giornata - continuavo a ripetermi - verrà la sera e poi la notte, col sonno, magari con sogni capaci di cancellare quest’incubo che rende cupa e amara la vita. Corri, vieni - sento gridare. Mi salta il cuore in gola. Rivedo tutto quello che già è capitato oggi, e mi chiedo quale altra grana ci sia da affrontare, e da risolvere in fretta, per evitare guai ancora peggiori. Acqua? Gas? Altre processionarie? È scivolata?   No, è in giardino, e col dito mi indica qualcosa … Nuvole, nuvole rosa, cumuli immensi, accarezzati dal sole che ormai precipita dietro l’orizzonte. Sono sopra Venezia, - mi dice. Forse sono sul mare - le rispondo, e sono emozionato da quello spettacolo inatteso.   Però ci soffia addosso la tramontana, e fa freddo. Ho indossato un giaccone, dopo una giornata di tepore. Nel pomeriggio tenevo addosso solo una maglia leggera, e mi sentivo troppo cop
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  Candele Immaginate una gabbietta di lamiera arrugginita chiusa da quattro piccole lastre di vetro. Aveva uno sportello per entrarci col fiammifero, stretto tra le dita per accendere la candela: quel lume mi serviva per salire le scale e attraversare la camera in cui dormivo. Poi la lanterna se ne andava dondolando; serviva ad illuminare le scale alla mamma che tornava al pianterreno.   A fianco del letto c’era una finestra, ma le imposte erano chiuse ed impedivano alla luna di farmi compagnia nel dormiveglia. Se vuoi la luna, avrai anche le zanzare, era la frase che mi veniva ripetuta ogni sera. Meglio il buio - pensavo - tanto sto per avviare il mio sogno preferito … Nemmeno terminavo il pensiero, e già dormivo, travolto dalla stanchezza. Sul comodino del papà, vicino al mio letto, c’era una candela fissata con la cera fusa al fondo di un vecchio bicchiere. Accanto c’erano i fiammiferi: svedesi, non quelli con lo zolfo, perché lo zolfo puzza, e rovina l’aria che poi respiriamo per t
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  Bravo Non ricordo dove io ed Eugenio dormivamo, a casa sua, al Lido. Forse con le nostre mamme; è solo uno dei tanti tasselli che mancano al mio puzzle . Altre tessere, invece, sono molto evidenti, mi saltellano intorno come un cagnolino che vuol giocare e mi riportano indietro di settant’anni.   Zia Irma suonava il pianoforte, ed Eugenio amava suonare con lei. Non so se fosse bravo alla tastiera, ma di certo lo sapeva fare e gli occhi gli brillavano quando la stanza si riempiva delle note che scaturivano dai tasti sfiorati dalle sue lunghe dita. Era un piano a coda, grande, ed occupava un salottino di casa, al primo piano. Ricordo zia Irma ed Eugenio seduti uno accanto all’altro alla tastiera e noi tutti intorno, sui divanetti accostati alle pareti, o sulle sedie recuperate dalla sala da pranzo. Suonavano a quattro mani, in perfetta armonia; la zia sorrideva soddisfatta; Eugenio ogni tanto rideva di gioia, soprattutto quando le loro mani si incrociavano sulla tastiera. Ecco, in quel
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  Viaggio Ho ritrovato Eugenio dopo sessant’anni di silenzio. Un distacco lungo quasi una vita. Ho cercato di ricordare la nostra infanzia: avevamo vissuto dei lunghi e piacevoli periodi insieme. Vacanze ricche di giochi, di chiacchiere, di scoperte, di confidenze, di quelle che fanno crescere. Ma la memoria sfuma. Di quei tempi mi restano solo immagini, come tessere di un puzzle maledetto: aggiungo una tessera al disegno e ne perdo altre, di continuo. Mi struggo nel tentativo di trattenerle, di restituire loro un senso compiuto collegandole all’immagine che sto componendo, ma quelle restano frammenti, vividi, ma monchi, e non mi danno la gioia che vorrei assaporare. Provo e riprovo ancora ad aggiustare il puzzle: resta incompleto, con vuoti che mi avviliscono.   Stazione di Vicenza. Sta arrivando il treno. La mamma fa un passo indietro per non essere investita dal vapore … il papà raccoglie le valige … io guardo la locomotiva, nera ed immensa, che ci passa accanto coi freni che stri
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  A matriciana Paolo era stato mio compagno di banco, in seconda e in terza liceo. Non era molto loquace; anzi, potrei dire che era assolutamente silenzioso, schivo, e riservato. Per certi versi era uno studente modello: sempre attento e riflessivo, quando parlava diceva cose sensate e corrette. Per questo era adorato dai professori, e benvoluto anche dai compagni di classe. Si iscrisse a Fisica, e lo persi di vista, come quasi tutti gli altri compagni del liceo.   Lo ritrovai l’ultimo anno d’università. Avevo lasciato la casa dello studente e per qualche mese alloggiai in uno studentato composto da piccoli appartamenti: una stanza con due tavoli e due armadi-letto, bagno e cucinino ricavati in un budello lungo tre metri e largo uno. Lo divisi con Paolo, in attesa di laurearci. Si stava bene insieme, tanto più che lui studiava di notte e dormiva di giorno: dunque non ci si disturbava, e non ci si distraeva in chiacchiere, proprio come quando eravamo compagni di banco. Per risistemare
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  Processioni Ieri, coi primi tepori di primavera, le larve di una farfalla che si nutre degli aghi di alcune specie di pino si sono incamminate per cercare il posto giusto per trasformarsi in crisalidi. Lo fanno sotto terra, scegliendo il terreno con le caratteristiche per loro migliori.   È affascinante la natura, e il modo con cui seleziona gli individui e gli atteggiamenti più adatti per affidare loro il futuro, cioè la continuità della specie. Le larve di Thaumatopoea pityocampa , che i Veneti chiamano rughe , sono bellissime da vedere: colori mimetici contro le cortecce degli alberi che le ospitano, irte di peli rigidi e dritti che vien voglia di pettinare, come si fa coi bambini, e poi camminano in fila indiana, come amassero il contatto, per sentirsi sicure. Sono pericolosissime! Quando avvertono il pericolo, quei peli colorati possono essere scagliati a distanza, come i legionari romani facevano col pilum . Sono irritanti per molti animali, uomo compreso. E per i cani e i gatt
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  Saluto Non riesco a cavarmelo di mente. Sono rimasto a bocca aperta allora, quando avevo quattordici anni, ed ancora oggi, ricordando l’episodio, provo un attimo di stupefatto sgomento. Era il primo giorno di scuola, al Liceo Ginnasio Pigafetta di Vicenza. Noi della Quarta A, ventisette ragazze in grembiule nero e due ragazzi, meglio dire bambini, in giacca e cravatta, eravamo allineati nel cortile interno della scuola, il chiostro dell’antichissima struttura.   Fu l’insegnante di lettere ad illustrarci la storia di quell’edificio, che un tempo fu la segreteria della curia vicentina. Immagino che la professoressa volesse stupirci, impressionarci, raccontando quella chicca. Avrei forse dovuto gonfiare il petto, e sentirmi orgoglioso di poter passare una parte importante della mia vita seduto su di un banco in un’aula che poteva aver veduto leggere e studiare, sette secoli prima, un Vescovo, signore di quella nobilissima città. Confesso che il mio petto rimase sgonfio, e le spalle mogi
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  Mille Miglia Mi ricordo la discussione tra Enzo, mio fratello, e la mamma.   Vengono alle quattro. Sarò giù a farli entrare, e non disturberemo nessuno. Staremo sul poggiolo, nel nostro studio, lontani dalle stanze da letto. La mamma non voleva nessuno per casa, a quell’ora. Nemmeno Paolo e Sergio, i compagni di classe di Enzo, che per casa li aveva tutti i giorni, lungo tutto il pomeriggio, quando studiavano insieme. Intervenni anch’io. Mi alzo anch’io alle quattro, così sto con Enzo sul poggiolo a vedere la Mille Miglia. L’intervento non fu gradito da nessuno. Però riuscii a mettere d’accordo la mamma ed Enzo: tutti e due contro di me. Ma cosa ne capisci tu di macchine? Cominciò a dire Enzo. Ma hai idea di cosa voglia dire alzarsi alle quattro? Sbottò la mamma. Risposi con sicurezza parlando di Alfa Romeo e di Ferrari, di Mercedes, Cisitalia e Lancia … Rincarai la dose citando Ascari e Moss, Fangio e Nuvolari. Se ne discuteva a scuola da settimane, e tutti eravamo diventati esperti
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  Eclissi Il papà aveva acceso una candela e stava passando sulla fiamma il vetro recuperato dalla cornice d’una fotografia. La mamma lo aveva lasciato fare, anche se la cornice d’argento, e la foto, le erano molto care. Altre cornici attendevano lo stesso trattamento. Sentivo l’emozione che aveva preso tutta la famiglia, ma non ne capivo del tutto il perché. Dubitavo che fosse per i vetri anneriti dal fumo della candela. Avrebbero potuto annerirli anche il giorno prima, o la settimana prima ancora, quando volevano, insomma … i vetri erano stati sempre lì, e di sicuro nessuno li avrebbe spostati. Quasi di sicuro era per il fenomeno di cui avevo sentito parlare in classe, e di cui il papà aveva letto sul giornale: aveva a che fare con il Sole e con la Luna, proprio quel giorno, e sopra di noi. Domandai: ma come avviene questa ellisse ? Eclissi , Franco, eclissi … mi corresse il papà. E si lanciò in una spiegazione di cui capii ben poco, soprattutto quando tirò in ballo termini come dec
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  Norpino Ora lo chiamano backcountry , termine che a me dice poco.   Quando anche da noi si cominciò a praticarla come pratica sportiva, era stata usata una parola che lasciava intendere le origini antichissime di quell’attività compiuta sulla neve: norpino . Evocava il grande nord, le distese innevate, le grandi distanze da superare con ai piedi gli sci, o le ciaspole . Perché? Per la fame e il bisogno di procurarsi il cibo, cacciando.   Ne avevo letto sul giornale, durante le vacanze di Natale, a Ronzone. Lì si andava spesso con gli sci da fondo nel bosco, sopra casa, ed era bello affrontare le discese scivolando tra gli alberi, e faticare in salita con la neve che arrivava a mezza gamba, e fermarsi ad ascoltare il rumore degli animali che cercavano il cibo nella neve alta. Non li vedevamo quasi mai, ma ne potevamo seguire le tracce lasciate di fresco.   Nevicò, tanto, tantissimo, e poi venne il sole.   Andiamo a fare norpino? - chiesi uscendo di casa e gridando alla volta dei “ Vi
  Un anno è   passato quasi un anno.   Tra un mese saranno trecentocinquanta post . Spediti ogni mattina, prima delle otto. Dopo così tanto tempo sento opportuno diradare gli invii.   Vi chiedo un aiuto: chi desidera riceverne ancora? Fatemelo sapere: basta un messaggio … Con tutta la mia simpatia. Franco
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  Smart Smile Forse non è la locuzione migliore, ma di sicuro è appropriata.   Smart ormai qualifica ogni cosa, od attività, che sia fatta in maniera svelta e intelligente. L’elettronica ci mette spesso lo zampino Il cellulare, per definizione, è Smart. Per me era molto pratico, svelto e intelligente anche il pesante telefono nero, con selettore a disco, che mi permetteva lo scambio di informazioni coi miei compagni di classe quando eravamo oberati di compiti per casa. Invece di uscire, magari col freddo o sotto la pioggia, ne parlavi a distanza. In un attimo avevamo risolto gran parte dei nostri problemi! Certo è che quello che sta dentro ad un cellulare consente operazioni inimmaginabili fino a pochi anni fa. Ad esempio vedo e ascolto i miei nipotini che giocano ad hockey a Montreal, e in tempo reale mi esalto quando la loro squadra vince, o mi avvilisco quando il disco, il puck , entra nella loro rete. Le cose inaspettate sono quelle che colpiscono di più.   Avevo spento il cellu