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Visualizzazione dei post da maggio, 2022
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  Cardinale È come un merlo con il ciuffo. Ma ha colore rosso, rosso porpora. Cardinale . Lo chiamano così, di là dall’oceano, e mi pare un nome azzeccato. Non solo per il colore, ma anche per il fatto che tra gli uccelli che popolano il loro giardino, i miei nipotini portano molto rispetto per questo, che è bello e canterino. In orto vedo che le ciliegie stanno prendendo colore, in questi giorni.   Si gonfiano e si tingono di rosa. Saranno rosse in un attimo, se dura il sole, e se farà caldo. Nel mio giardino non ci sono cardinali . Ma i merli, che sono neri e politicamente scorretti, adorano il rosso.   Le ciliegie ad una ad una saranno tutte loro! Franco
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  Purezza Per Sant’ Antonio saranno già sfioriti. In barba al calendario, e al Santo, che ne ha sempre in mano uno fiorito, i gigli fanno festa a maggio, insieme al ligustro, al caprifoglio e al gelsomino; sempre a far gara di profumi. Quante storie mi hanno raccontato sui gigli! La mamma diceva che sono il simbolo della purezza dell’anima, e che per questo sono bianchi. La mamma tirava poi in ballo anche la Madonna, e se non bastava c’era anche Giuseppe, che a suo dire venne scelto come sposo perché il bastone su cui s’appoggiava si coprì proprio dei grandi petali bianchi e profumati del giglio. Insomma, anche lui era puro di spirito: non frequentava cattive compagnie! La mamma ne amava il profumo, e ne voleva qualche pianta in giardino; ma chi doveva curarli era la Gemma, che sui gigli raccontava altre storie. Mi diceva che Antonio era proprio un brav’uomo, con un cuore d’oro e una fede incrollabile. Era così puro d’animo che ovunque andasse, l’aria profumava di gigli.   Mi sfuggiva
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  Nani Solo Michele poteva risolvere il mio problema. È bastata una foto, e un messaggio. Che piante sono quelle sullo sfondo? La risposta è arrivata in un attimo. Mah, forse una quercia, ma può essere di tutto … figurati se il pittore perdeva tempo per curare questi particolari! Il filare, invece, a giudicare dal portamento dei rami dovrebbe essere di salici, quelli che in veneto son detti strope … ma a giudicare dalla distanza tra le piante e dall’altezza della capitozza direi che sono Gelsi. Gelsi bianchi, ovviamente … Era quello che volevo sentirmi dire.   Imbarazzante; avrei dovuto saperlo anch’io.   Ma Michele è così: sa tutto e guarda anche i minimi particolari. Caro Giandomenico, anche tu avresti dovuto tenerti vicino il Michele quando dipingevi le scene contadine alla villa dei Valmarana, quella ai Nani, ricordi? Franco
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  Lo gnomo Ma tu che sei sempre in mezzo ai boschi, hai mai incontrato gli gnomi?   Me lo chiede una bambina di otto anni, seria seria e con lo sguardo indagatore puntato nei miei occhi, per scorgervi subito un segno di bugia. Ma che dici! chi ti racconta mai queste storie … dai … gli gnomi! Le rispondo.   E lei sorride felice, perché ha capito che li ho incontrati, gli gnomi, e voglio tenere quel segreto solo per me. Si, lo gnomo l’ho incontrato, e mi ci sono anche seduto vicino.   Anzi, ci ho chiacchierato per un po’. Un attimo di riposo in compagnia, riposo meritato perché siamo vecchi e stanchi tutti e due. Ad occhio deve avere almeno cento e cinquant’anni, ed è grigio, e rugoso.   Qua e là traspare un colorito rosato, forse anche rossastro … ma si sa, il vento teso e freddo lascia questi segni sulla “ pelle ” di chi vive in montagna.   Non parla molto; in compenso anche le sue giunture scricchiolano quando si piega per resistere al vento.   Siamo proprio compagni: legnosi tutti e
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  Pioggia M’è capitato di “c hattare ” per un po’ con M., conosciuto in un torneo online. Era straniero. Un giorno mi scrisse che gli scienziati stavano inguaiando il mondo.   Gli obiettai   che a me erano molto serviti i progressi della medicina. Un attimo dopo mi arrivò una foto di scie d’aereo nel cielo sopra casa sua. Ci stanno   drogando per controllarci la mente, era la didascalia.   Tentai una obiezione. Ottenni una raffica di link che spiegavano tutto sulle scie chimiche.   Lasciai perdere e non gli scrissi più. Alcuni giorni dopo ricevetti la foto di una pagina di un libro di scuola media.   Imparai che a far piovere ci pensano l’Aeronautica e il Servizio Meteorologico. Come la mettiamo con la siccità di questo periodo? Gli chiesi.   Smise di scrivermi.   Penso ancora a quel libro. Per convincere la gente sulle cose più assurde si deve cominciare coi bambini. Povera la mia Gemma! Lei s’era tanto impegnata per insegnarmi che la pioggia altro non è che la pipì degli angioletti
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  La Vespa Domenica. Abbiamo appena finito di pranzare. Noi ragazzi attendiamo solo un segnale per alzarci da tavola.   Il papà sta nervosamente giocando coi bicchieri; li impila mettendoli uno dentro l’altro. La mamma lo fulmina con gli occhi: sono i bicchieri buoni della domenica. Non si maneggiano così, distrattamente. Il papà la fissa; esce con tre parole che fanno sbiancare la mamma: “Compero una moto!” Coosaaaa???? - grida lei - non ti è bastata la spalla rotta?   Sulla scrivania del papà c’è un lungo chiodo d’acciaio che glielo ricorda ogni giorno. Mi serve per il lavoro! E poi, pensa, la domenica si può andare a fare qualche gita …   Con le mani imita un motociclista che stringe il manubrio. La pila dei bicchieri è parte della sua nuova moto immaginaria: è il piantone della forcella.   Il papà romba come una grossa Moto Guzzi. Accelera, e noi tutti siamo orgogliosi di lui. Ma guarda quello lì … col carretto in mezzo alla strada! Esclama, rallentando la corsa. Suona il clacson,
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  Dormiamo con le finestre aperte e le tapparelle alzate. Amiamo l’aria tiepida e profumata della notte in questa primavera che imita l’estate. Al mattino mi sveglio con il sole che accende le chiome dei pini e ne arrossa la corteccia.   In quel momento anche i merli intonano le migliori melodie.   Anche se è programmato di buon’ora, quello dei merli è un concerto che merita d’essere ascoltato. Avevamo deciso di raccogliere le ciliegie. Ieri l’alberello aveva i rami carichi di frutti maturi.   Ci si è spento il sorriso: evidentemente qualche merlo non aveva cantato al sole, stamattina. Era troppo impegnato nella raccolta, metodica e meticolosa, delle nostre ciliegie. In un attimo ho cambiato parere! Altro che virtuosi canterini! Ladri incalliti sono i merli, come Diabolik in calzamaglia, neri come la notte, prima che il cielo si colori al sorgere del sole. Franco
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  Rubini Giovanna se ne faceva gioielli: orecchini, e a volte anche collane, intrecciando i piccioli. Guardate che belli, ci diceva mettendosi a cavallo dei rami più alti. Dario ed io proprio non capivamo il valore dei rubini.   Per noi le ciliegie, rosse e lucenti, andavano messe in bocca un attimo dopo che le avevamo raccolte. Scesi dall’albero, noi ci leccavamo le dita e le labbra; lei invece continuava a succhiare ciliegie, togliendosi di dosso, pian piano, i suoi preziosi gioielli. Astuzia tutta femminile! Franco  
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  Magie Attendo che il caprifoglio fiorisca.   I suoi virgulti hanno ormai invaso la siepe di ligustro e le gemme sono gonfie.   Ancora qualche giorno, e poi la sera ci stregherà con le sue ombre tiepide, profumate di caprifoglio e d’estate. Sono le sere in cui negli angoli più bui del giardino s’accendono anche le lucciole.   È un miracolo che ancora si rinnova, anche qui in città.   Vado a cercarle, nel buio, le lucciole. Come quando ero bambino, mi emoziono a guardarle: lampi verdi, intermittenti durante il volo, fissi quando si posano nell’erba.   Piccoli insetti sgraziati, ma carichi di magia.   Per un attimo fanno dimenticare il nostro mondo, così malato. Franco
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  Il più debole L’unica volta che fui mandato in punizione dal Preside frequentavo la seconda media.   Non ricordo cosa avessimo combinato, io e i miei due compagni che furono castigati assieme a me.   Il Preside ci fece una ramanzina coi fiocchi. Eravamo in piedi, sull’attenti, l’aria contrita, e fissavamo il muro alle sue spalle, con la foto del Presidente Gronchi appesa nel mezzo. Fu un attimo; ebbi l’impressione che qualcosa si muovesse in cortile.   Il mio sguardo corse alla finestra. Due grossi topi stavano litigando per un pezzo di pane buttato a terra da qualche studente durante la ricreazione. Aprii la bocca. Il Preside si accorse che mi ero distratto.   Stava dicendo “ … ma chi vi ha insegnato l’educazione? …”; si fermò contrariato per la mia distrazione.   Ma Franco, mi stai ascoltand o? Vediamo, continua tu …   … due topi … , signor Preside! Stavo per indicargli il cortile, e il bel colonnato cinquecentesco della scuola.   Lui deve aver interpretato le mie parole in modo mo
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  Marinaio   È venuto dalla Corsica. Ripescato con fatica dal mare, tra i frangenti sugli scogli. È arrivato in auto; non so proprio come siano riusciti ad infilarlo nel bagagliaio e a sistemarlo tra le valige.   S’è acclimatato nel mio giardino. Un anno intero di pioggia e di sole, dopo una energica lavata per cavargli il sale   di dosso. È un grosso tronco cavo, penso di pino marittimo, o domestico. Difficile capirlo dal legno, dopo tanti anni di viaggi per mare.   Ora è sistemato su di un piedistallo d’acciaio. Tanto lavoro, ma è stato un attimo a confronto dei suoi anni, ed è tornato immobile, come era prima di venire strappato dal vento dal luogo dove aveva messo radici. Come un vecchio marinaio, i segni del tempo e delle burrasche li conserva sulla pelle. Franco
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  Red È un po’ selvatico, d’accordo, e ama starsene in giardino, anche in quello dei vicini, o nello spazio alberato tra le case del quartiere.   Lì ci vanno anche i cani, ma non pare farci caso. Fa acrobazie che lasciano esterrefatti. In un attimo me lo trovo sul poggiolo, e non so da che parte sia salito; forse lungo i tralci della vite che fa pergola sopra l’ingresso.   L’ho veduto saltare dal poggiolo a terra, poggiando le zampe sul muro.   Ama arrampicarsi sul Cedro, a dieci metri d’altezza, per far scappare le cornacchie, che sembra detestare. Loro sono nere; lui è rosso, come dice il nome che qualcuno gli ha dato. Tra Red e le cornacchie c’è forse un’antipatia politica d’altri tempi. Qualche volta, dal davanzale, chiede d’entrare in casa. Lo fa a voce, con versi che sembrano parole pertinenti alla situazione. Se apro la finestra, mi guarda, come per chiedere ulteriore consenso. Poi mi salta tra i piedi. Annusa qua e là per qualche secondo e subito s’avvia all’uscita.   Mi pare n
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  5450 Tante sono le foto conservate nel mio computer.   Più del triplo sono accatastate nel cloud .   Ne guardo alcune, ogni tanto.   Mi restituiscono momenti della vita. Così non dimentico. Il giorno di Pasqua nel mio giardino il ciliegio era carico di fiori.   Il mio è l’ultimo a fiorire tra i ciliegi del vicinato; ma va bene così … il suo candore mi dona comunque il senso della primavera.   E rende più a lungo felici schiere ronzanti di api e di bombi. Altrove, nello stesso giorno, il cielo era cupo come il piombo, e freddo.                       La primavera, di là dal mare, tarda ad arrivare.           Con una foto e con internet è come se ci si scambiasse sguardi dalla finestra.   È un attimo, ma così ci si sente vicini, anche sotto cieli diversi.   Franco
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  Montagna La Topolino del papà rombava e sbuffava sui tornanti, prima del Pordoi e poi del Falzarego. Il papà era felice della sua automobile, di seconda, o di terza mano, ma revisionata per donarle ancora qualche anno di vita, in sicurezza.   Ci teneva alla sicurezza, il mio papà; soprattutto dopo che era rimasto per strada per la rottura dell’asse di trasmissione. Una brutta storia, che aveva fatto urlare di terrore la mamma e tolto dal portafogli del papà qualche prezioso foglio rosa da diecimila lire.   L’automobilina saliva, tornante dopo tornante. Il papà era anche riuscito a stare in coda ad un Maggiolino che lo aveva superato. Ha il doppio della nostra cilindrata, aveva gridato carico di orgoglio. La mamma forse non capì: aveva le nocche bianche per lo sforzo di restare avvinghiata alla leva del freno a mano e alla maniglia della portiera.   Non guardare il vuoto, le diceva il papà ad ogni tornante; guarda in su … guarda le montagne! Lei teneva gli occhi chiusi, e quasi piange
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  Notte Piove. Altre volte è sereno. Caldo o freddo non fa differenza. Qualche volta nevica fitto fitto come qua in città raramente succede. Sempre, cascasse il mondo, ma proprio sempre, mi prendono per il braccio e mi indicano la porta di casa.   Argo e Tea sono cani svizzeri: spaccano il secondo. Allo scoccare della mezzanotte si va a spasso! Quasi un’ora di cammino svelto, col guinzaglio sempre teso. Si fermano nei soliti posti, a controllare se i loro amici hanno rinfrescato le tracce, che subito vanno coperte col loro odore.   Mai dimenticano di portare un saluto ai ragazzi che chiacchierano al buio, nel parco; amano le loro carezze, e la loro voce di saluto. Io vengo sempre ignorato. Fa parte del gioco.   Poi c’è Whisky, il cagnolino candido che ricorda l’etichetta di un liquore. Un attimo di festa, due minuti di corsa insieme, senza guinzaglio, sul prato.   Basta così, si deve andare, ci sono cento altre cose che Argo e Tea devono fare … Conoscono la strada di casa; luce o buio
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  DHMO Il meglio viene dalla fantasia degli studenti.   A me sembra che in questo modo sopravviva la parte sana della goliardia, quella che allena l’intelligenza. Certo è che per garantire il successo di quelle che oggi sembrano fakes ci vuole anche il contributo volontario d’una parte di noi. Molti anni fa risi di gusto alla notizia che durante un incontro internazionale sull’ambiente, alcuni rappresentanti di importanti Paesi, per dimostrare d’essere dalla parte dei buoni e dei giusti, sottoscrissero un documento presentato da giovani ambientalisti che prevedeva l’impegno dei Governi di porre al bando DHMO. È l’acronimo di Dihydrogen Monoxide , descritta dagli estensori della petizione come sostanza pericolosissima e spesso mortale, anche per semplice inalazione, ed usata correntemente e con leggerezza in tutte le preparazioni. Anche nell’alimentazione umana! Pochi tra coloro che sottoscrissero quel documento, nella concitazione del momento avevano colto la finezza della burla: il m
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  Due denari Erano di alluminio, grandi e leggere.   Da una parte un aratro, dall’altra due spighe di grano.   Dopo la messa, vuotato il sacchetto dalle offerte, il prete prendeva quattro monete da dieci lire: due a Lucio e due a me, i chierichetti della funzione delle nove.   Lucio faceva il chierichetto anche alle undici, alla messa dei signori.   Io mi accontentavo di venti lire, mentre lui faceva sempre musina per comperare il regalo per il compleanno della sua mamma. Venti lire; era il prezzo del biglietto in platea del cinema della parrocchia.   Insomma, al mattino servivo messa per andare allo spettacolo del pomeriggio. La mamma e la Gemma scuotevano la testa: anche se il cinema era quello dei preti, il baratto sembrava chiedere l’assoluzione prima di fare il peccato. Insomma, il piacere della ricompensa mi passava in un attimo: servire messa diventava come vendere Gesù per due denari. Franco