Fauna Sul muro, accanto alla porta del mio studio, sono appese due stampe colorate che illustrano la fauna di ambienti totalmente diversi. Quando le vedo, mi torna in mente Lucio, il mio maestro delle elementari che, inconsapevolmente, mi impartì forse la prima lezione di ecologia , parola allora a tutti sconosciuta . La prima stampa conduce tra i ghiacci della Groenlandia; con un tocco di ingenuità l’autore ha voluto descrivere la fauna marina di quella regione ghiacciata, mettendo in evidenza le abitudini degli eschimesi ed anche i rischi cui vanno incontro i naviganti che s’avventurano in quei mari disseminati di iceberg . Un veliero ardimentoso, a vele spiegate e gonfie di vento, pare correre in velocità tra insidiosissime guglie di ghiaccio che emergono dall’acqua. L’altra stampa rappresenta, con una stupefacente precisione scientifica, un colorato campionario d’insetti tropicali. In poco spazio sono raccolte tutte le fasi della vita di alcuni lepidotteri, dalle variopinte farfa
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Visualizzazione dei post da gennaio, 2023
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Scaramanzia Non ci credo, ma non mi costa nulla … Lo diceva un mio professore, e continuò a ripeterlo anche quando, anni ed anni più tardi, divenuti colleghi, si lavorava spesso insieme bisticciando su queste faccende. Bastava una contrarietà, una cosa che andava storta, la presenza di una persona sinistra, o vestita di scuro, un gatto … insomma, qualcosa recuperato dal campionario della jella o dei menagrami , e lui subito ad esibire la sequenza dei gesti o delle parole che, nella credenza popolare, sarebbero stati in grado di tutelarlo. Ne discutemmo a lungo, io e lui, nel tentativo di mettere in luce la sciocchezza del suo atteggiamento. Era arrivato anche a tirare in ballo la statistica, e il numero delle volte in cui, omettendo il rito necessario a contrastare la sfortuna, le cose si erano messe male per lui. E così riecco la frase: … non ci credo, ma non mi costa nulla … Devo dire la verità: un po’ scaramantico sono stato anche io, magari senza accorgermene. Ad esempio, mi è
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Disegni Sono gelato! Questo strano, tiepido, inverno, sta infierendo con giorni di normalità, che io però avverto come gelo polare. So che il vero freddo lo abbiamo provato anni fa. Sto passando in rassegna gli inverni in cui c’era motivo per battere i denti. Sono molti: uno, in particolare, ci ha elargito più di un mese con temperatura che qui, a Padova, mai è salita sopra lo zero. Ma ero giovane, allora, e sopportavo tutto, quasi senza farci caso. Se non ci fossero stati i bambini, per i quali ci si allarmava anche per una giornata di vento, non c’era differenza tra estate ed inverno: si stava bene comunque. E quando ero piccolo? Non ricordo di aver mai avuto freddo nella grande casa di Vicenza. Eppure non poteva essere calda, d’inverno. Scaldarla era una battaglia perduta: non c’erano termosifoni, almeno fino ai primi anni ’50, i soffitti erano altissimi, più di quattro metri, le stufe scaldavano solo alcune stanze e le finestre … dio mio, facevano pena, coi legni imbarcati e
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A I Che sonno! Non mi alzerei mai dal letto. Oggi è domenica, non ci sono impegni, non devo andare da nessuna parte … perché devo alzarmi? Che fatica pensare queste cose …! Apro l’occhio sinistro; il destro è immerso da qualche parte nel cuscino. Fisso la sveglia e metto a fuoco … quattro e diciassette minuti … Cooosaaaa? Perché mi sono svegliato? Sono furibondo con me stesso, e cerco di riaddormentarmi. Mi giro e mi rigiro, come una salsiccia sul barbecue … Succede sempre più spesso, sono cose da vecchi, si giustifica una parte di me … L’altra parte si infuria sempre di più. Lascia stare, se continui così sarà sempre peggio. Dai, torna al sogno che stavi facendo prima … cos’era poi? Ah si, l’inaugurazione dell’anno accademico, con gli autoblindo dell’esercito nel cortile nuovo del Bo’. Ma come? Mi dico, ma sei pazzo? No, no, non era questo. Si, è vero, ti stavi mettendo in ghingheri in quell’albergo … Ma che albergo? Era una topaia, qualcosa senza servizi, un cesso in comun
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Squilli Il telefono era appeso al muro, in corridoio. Non ricordo quando ci hanno allacciati al servizio; di sicuro ero piccolo, e l’ho sempre veduto lì, così alto che sul principio nemmeno ci arrivavo. Ricordo però che era nero, pesante, con un lungo filo che consentiva alle mie sorelle di portare la cornetta nella stanza vicina e di accostare la porta: insomma … un minimo di intimità! Ricordo anche che a quei tempi avevo orecchio fino, come quello di Teo, il Breton di Fernando, che sentiva ogni bisbiglio di casa, anche a quindici metri di distanza, nonostante tutte quelle grosse pareti di pietra e di mattone. Anch’io sentivo tutto delle telefonate, magari standomene in cucina, due porte più in là. Quelle delle mie sorelle erano chiacchiere interessantissime, che anche la mamma avrebbe voluto ascoltare. Così finivo per spettegolare, a mio rischio e pericolo: le mie sorelle avevano unghie lunghe, ed erano permalose. Che caratteraccio! Mi avrebbero graffiato come sanno fare i gat
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Neve Mi piace tutto della neve. Soprattutto mi piace il senso di pulito che porta con sé, il silenzio che, sotto i fiocchi, avvolge ogni cosa, la notte che in un attimo diventa luminosa; basta un lampione per colorare con l’oro tutto intorno. Amo camminare nella neve, sia quando scricchiola sotto i piedi, sul marciapiede, sia quando sembra sbuffare, soffiare stizzita, se vi affondo fino al polpaccio. In montagna, quando nevicava, amavo andare a camminare nel bosco. Il silenzio mi portava a immaginare il deserto. L’aria sembrava vibrare, come se i fiocchi frusciassero; così fa la seta carezzata con mano leggera. Un tonfo, uno scricchiolio, bianchi fantasmi mi facevano compagnia. Faticavo a camminare nella neve alta, ma sentire nel silenzio il battito del cuore compensava la fatica. Allora ero davvero solo con me stesso, senz’altri pensieri se non quelli del giudizio cui mi sottoponevo: imputato e giudice allo stesso tempo. Un’occasione rara, da non perdere, per essere sincer
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Profumi La mia memoria si nutre di odori. I luoghi, le case, le cose, nella mia memoria sono spesso associati ai loro odori. A volte mi capita di ricordare in questo modo anche le persone: il profumo vale quanto l’espressione del viso, gli occhi, la voce, il sorriso. Anche il sentore del cibo è chiave efficace per la memoria. Non solo per me; Eugenio, mio cugino, scrivendomi dopo anni di silenzio, mi ha raccontato che il primo ricordo dei nostri incontri di quando eravamo bambini era associato al profumo della cucina di casa nostra. Il bollito della mia mamma era un messaggio di benvenuto che deve essergli rimasto impresso nella mente e nel cuore. Le mie vacanze sui colli, a casa dei nonni, quando arrivavo nella corte cominciavano col profumo della polenta dell’Amalia. Era il segnale del cambiamento: dalla città alla campagna. Solo dopo venivano le immagini dei luoghi dove trascorrevo i mesi dell’estate, ma sempre associate ad odori o a profumi: delle galline e del vitello nella s
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Ignoranza Ho sempre avuto avversione per i medici da Wikipedia , persone che assorbono il loro sapere dall’enciclopedia online, ma non dispongono delle basi scientifiche necessarie a capire il significato profondo e le interconnessioni tra quanto hanno acquisito nella rete . E così vi sono pseudo ingegneri , geologi ed astronomi , filosofi e cento altri esperti del tutto che sono solo pericolosi disquisitori del niente . Ma di quand’è questa Tabula Peutingeriana , mi chiedono in molti. Non lo so, devo rispondere per essere congruente con questa mia premessa, non sono uno storico, sono solo un curioso di storia. Io leggo qua e là, e riporto il lavoro di chi davvero si occupa di storia, e solo se le sue affermazioni mi paiono documentate e attendibili. Ad esempio, il fatto che sulla tomba di Augusto sia riportato uno stralcio dello “stradario” ( cursus publicus ) da lui richiesto ad Agrippa, il suocero costruttore del Pantheon , farebbe pensare che la redazione della carta strada
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Tutte portano a Roma In origine erano dodici fogli, di pergamena; ne sono rimasti solo undici, che formano un lunghissimo rotolo lungo molti metri. È una copia medioevale ottenuta da una copia ancora più antica, fatta stendere, si dice, da Carlo Magno. Peutingher, uno studioso tedesco, la ritrovò alla fine del 15° secolo. Da qui il nome della carta, Tabula peutingeriana, che è conservata a Vienna. L’originale non esiste più, anche se attraverso molti indizi se ne conoscono alcune caratteristiche. Era una carta stradale, ideata per rendere agevoli e sicuri i viaggi all’interno dell’impero: l’impero romano, ovviamente. Venne disegnata, foglio dopo foglio, tra il primo secolo avanti Cristo e il 350, ai tempi di Costantino. Vi sono rappresentate le strade costruite da Roma nelle terre a lei sottomesse, dall’Atlantico ai confini dell’India, dalla Scozia al Sahara. Qualcuno ha calcolato che nella carta siano disegnati più di centoventimila chilometri di vie lastricate! Vi sono segnate anch
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Strade Per quindici anni ho abitato, a Padova, in una via che sentivo senz’anima. Una strada che tagliava di sghembo un quartiere un po’ disordinato, nel quale non si coglieva alcun disegno urbanistico. Aveva per me un’unica comodità: in un attimo arrivavo in centro città, anche a piedi, o all’Università, in bicicletta. Mi regalarono un libro ricavato da una tesi di dottorato. Trattava di strade storiche del Veneto, a partire da quelle d’epoca romana. La via dove abitavo compariva tra le prime, e tra le più importanti: duemila e più anni fa era una via armentaria. Partendo dalla grande e ricca città, la strada costeggiava il Medoacus , la Brenta, per poi arrampicarsi verso i pascoli dell’Altopiano. Sono rimasto affascinato dalla storia che quella mia strada nascondeva, e l’ho percorsa più volte cercando le possibili tracce della antica via romana mascherate dal reticolo delle strade più recenti. Più volte ho scritto di quella via armentaria , di cui ho scoperto i segni lasciati s
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Bezzecca Ci sono frasi che si dicono così, solo perché lo fanno in tanti. Era così freddo che per lavarmi dovevo spaccare il ghiaccio ! Quante volte l’abbiamo sentito dire. Lo sosteneva anche il mio papà, che aveva fatto il militare nel ’920 sull’Altopiano, dove il ghiaccio t’accompagna durante tutto l’inverno. Mai ho messo in dubbio le sue parole. Esco, vado a prendere le sigarette . Non è più tornato! Lo diceva la nonna di un suo prozio. Invece che dal tabaccaio era andato volontario con Garibaldi. Pensavo che fosse una di quelle frasi ripetute in tante famiglie, magari per intendere che un conoscente era scappato giusto prima del matrimonio … tipo: sedotta ed abbandonata. Ed invece ho trovato un paio di documenti … “Raffaele … arruolatosi nel Corpo dei Volontari Italiani addì 26 maggio 1866, venne definitivamente congedato dal servizio col grado di “soldato” al termine della Campagna … Seguono le firme del Comandante del Reggimento e del Comandante della Compagnia … “ Il Congedo
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Polentoni Quell’estate ci trasferimmo a Trento. Ero entusiasta all’idea di andare a vivere in un’altra città, in mezzo alle montagne! Invece capii subito che avevo perduto il meglio della mia vita, che era rimasto a Vicenza: le compagne di classe, i miei amici, e poi Dario e Giovanna, che erano come fratelli per me. Due giorni dopo il trasloco cominciò anche la scuola. Mi trovai in una classe di soli maschi! Un bel cambiamento rispetto al passato. Sapevo che in Trentino c’erano gli orsi, gli ultimi orsi delle Alpi. Scoprii che si erano riuniti tutti in classe mia! Ragazzi privi di allegria, musoni, diffidenti … mi trattavano come un intruso, un estraneo. In modo che io capissi, sentii dire da qualcuno di loro che il confine con l’Italia correva lungo il corso del Leno, il torrente della Vallarsa, sotto Rovereto. Pensai che fin lì arrivavano i Dominii della Serenissima. I più duri sostenevano invece che il confine era fissato a Mattarello, il quartiere meridionale della c
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La prima volta Dopo la gara che avevo portato a termine con ai piedi una sola scarpa, il professor Pegoraro mi iscrisse al campionato studentesco provinciale. Non c’erano speranze per il nostro Liceo-Ginnasio: le altre scuole mettevano sempre in campo ragazzi che altro non facevano se non allenarsi, allenarsi ed allenarsi ancora. Anche se non ero uno studente modello … il papà era sempre lì, a controllarmi, a farmi capire quali erano i miei veri obiettivi. Tra questi non c’era la corsa campestre. Insomma, arrivai alla gara che non sfiguravo né in latino, né in greco, ma nella corsa … valevo davvero poco. Però si correva sulla pista della scuola, la pista di casa, e a fare il tifo c’era tutta la mia classe, cioè le mie bellissime compagne, con tutto il Liceo. Quando l’altoparlante annunciò la mia gara, capii cosa voleva dire il professor Pegoraro: a correre c’era una ventina di veri atleti, masse di muscoli e di nervi tesi. Accanto a loro io sembravo la mascotte del gruppo, il