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Visualizzazione dei post da febbraio, 2023
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  Trivellato Il papà mi aveva portato con sé fino all’Autofficina Trivellato , vicino allo Stadio di Vicenza. Non era di buon umore; la sua vecchia Topolino lo aveva lasciato un’altra volta per strada e le continue riparazioni cominciavano a pesargli non solo sul portafogli, ma anche sullo spirito. Amava la sicurezza, e la sua Topolino non gliene dava più neanche un po’. Vedevo che il papà stava discutendo con Trivellato, che scuoteva la testa. Io ero rimasto a bocca aperta di fronte ad un’auto americana, immensa, carica di fronzoli e di cromature, con fanali e fanalini dappertutto, un bagagliaio in cui si sarebbe potuto parcheggiare anche la nostra vetturetta.   C’è questa …,   stava dicendo Trivellato al Papà indicando la Buik color salmone che io stavo ammirando … ma le dico subito che consuma. Capii immediatamente che l’espressione del papà non prometteva nulla di buono. Di sicuro stava ruggendo dentro di sé, ma non voleva farlo capire al suo interlocutore. Accantonai dunque il s
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  Da Porto Ho già scritto di covoli , come quello del Bustione, in Valsugana, o quelli vicentini, sui Berici. Avendo però ieri riletto alcuni passi dell’ Historia del Guicciardini, m’è tornato alla mente Luigi Da Porto, che di Guicciardini era contemporaneo e come lui amava scrivere degli avvenimenti che travagliavano la sua terra a causa della guerra mossa a Venezia dalla Lega di Cambrai. Giovane sfortunato il Da Porto; Luigi rimase orfano dei genitori che era bambino, e venne cresciuto prima dal nonno paterno, a Vicenza, poi da uno zio, in terra di Romagna. Luigi era combattuto tra due opposte tendenze: da un lato l’amore per le lettere, e per la scrittura, per altro alimentato da un amico di altissima caratura culturale, il Cardinale Pietro Bembo, e dall’altro lato l’amore per le armi e per lo scontro sul campo. Col suo nome videro la luce molte novelle, tra cui la Novella di Giulietta e Romeo. Scrisse anche moltissime lettere con le quali, con una scrittura che le fa somigliare a
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Viola Ieri, in Accademia Galileiana, è stato ricordato un grande storico padovano di recente scomparso: Angelo Ventura. Al microfono si sono alternati due suoi allievi, che ne hanno illustrato la figura scientifica e quella umana. Di Ventura io conoscevo poco o nulla, a parte alcuni episodi legati alla politica e agli attentati compiuti contro alcuni professori della nostra Università nei cosiddetti anni di piombo . Ieri è stato ricordato un curioso episodio: venne chiesto a Ventura quale fosse il suo fondamentale riferimento scientifico e letterario, cioè quali fossero, nel panorama dei documenti storici e degli scrittori del passato, quelli cui Ventura attribuiva maggiore chiarezza di pensiero e autorevolezza. Egli rispose in maniera secca e decisa, con un solo nome: Francesco Guicciardini. Un bel salto indietro di cinque secoli, fino alla metà del cinquecento. Sentendo quel nome, mi sono distratto, travolto da una cascata di altri ricordi, soprattutto di letture, come sempre frettol
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  Specchi Amo l’acqua, fin da bambino. Allora amavo guardarla gocciolare dalla fontana, vicino a casa dei nonni, e osservare le api e le vespe che si affollavano intorno alle pozze limpide e quiete che si formavano intorno alla cisterna: un vero tesoro sul quel monte, caldo ed asciutto.   Anche nel cuore scuro e freddo della cava di pietra c’era dell’acqua, un laghetto nero come la pece. Voltandomi, e guardando verso la bocca della cava, quell’acqua diventava uno specchio su cui si rifletteva la luce, e così si spegneva la paura del buio. Lì si rifletteva un mondo sconosciuto, e anche l’anima, se la avessi voluta vedere.   Invece non amo l’acqua dei fiumi in piena, come quelli che ho veduto da bambino, quando la città ne venne sommersa; l’ho veduta anche di recente, poco distante da casa, con la gente che non riusciva a parlare d’altro, sommersa dall’ansia, e dal timore d’una rotta . Di quell’acqua fanno paura i gorghi, e l’odore del fango, che sa di terra rubata ai campi, e poi il mug
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  Fuochi Pierlorenzo e Carlo, il moroso di Isa, mia sorella. Mi sono tornati alla mente per un loro gioco, in una sera d’estate, a Villabalzana. Forse volevano festeggiare il Ferragosto, come in paese si faceva per la festa del patrono. Devono averne discusso a lungo, e tirato fuori di tasca anche qualche moneta. E poi giù in città, forse con la Vespa di Carlo, più probabile con la Millecento del papà, portando così con loro anche Isa e Tella, insomma, mezza famiglia. Mi pare di ricordare che la mamma non fosse molto felice che tre figli se ne andassero in giro in macchina: le strade sono piene di pericoli, non si sa mai … pensa al traffico, diceva al papà scuotendo la testa.   Beh, sullo stradone sterrato di Villabalzana il traffico era costituito dal carro del mugnaio tirato da un vecchio mulo. Ogni tanto rombava anche l’autocarro militare al servizio della polveriera. Poi saliva lo zio Gianni, qualche volta si muoveva anche zia Ada, e di sera tornavano a casa Fernando, l’altro mio
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Mattioli Pietro Andrea Mathtioli, medico senense . Che personaggio! Quando l’ho incontrato, me ne sono subito innamorato.   Per me è il massimo esempio di studioso, di osservatore, di critico verso il sapere dato per acquisito una volta per tutte. Ma anche un bell’esempio di ingegno letterario, tra i primi a comprendere il potere della stampa, e della diffusione delle informazioni.   Mi stupisco ancora quando vedo che Mattioli (quasi sempre scritto senza h ) ha pubblicato le sue opere in latino ed in volgare, e poi in francese, in tedesco e in ceco, in formato grande e in formato tascabile, con e senza illustrazioni. Insomma, il primo a comprendere come con le buone pubblicazioni si possono fare anche buoni guadagni.   Ho letto con grande pazienza molti passi dei suoi volumi, quasi tutti dedicati alla botanica, che ai suoi tempi, visse nel cinquecento, era scienza di base per la medicina e per la cura farmacologica delle malattie. Con grande acutezza egli ne colse anche le potenzialità
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P latano Secondo Andrea Mattioli, il grande medico-botanico del ‘500, il Platano domina su tutti gli alberi per altezza, ampiezza delle chiome e per grossezza del fusto. Mattioli amava riportare le curiosità che coglieva leggendo i testi dei grandi studiosi del passato, greci e latini. Citò anche Plinio il Vecchio, il quale a sua volta aveva riportato nelle sue opere i racconti di Licinio Muziano, legato dell’imperatore Tito in Siria: egli ricordava un platano con una enorme cavità nel fusto, una specie di “ spelonca ”, così ampia che vi si era potuto riparare da un violento temporale assieme a tutta la sua scorta formata da ben diciotto soldati. La leggenda poi vuole che il platano sia anche uno degli alberi più longevi.   Nella città di Kos, patria natale di Hippocrate, si favoleggia che svetti ancora un platano che dava ombra e riparo alle lezioni del padre della medicina, vissuto ben duemilacinquecento anni fa. Meno anziano, ma non per questo meno monumentale, è il platano che anco
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  Pozzi Il papà decise che era ora di scaldare la casa con i termosifoni: uno in ogni stanza.   Si fece festa, in famiglia: finalmente il progresso arrivava anche da noi! Io ci capivo ben poco, ma l’idea del caldo nella mia stanza, soprattutto al mattino quando mi dovevo alzare per correre a scuola, mi riempiva di gioia, e di orgoglio per la geniale decisione del papà. Arrivò in cortile un camion col cassone stipato di radiatori, quelli di una volta, di ghisa pesantissima. Fece manovra sull’acciottolato della corte, che sprofondò all’improvviso lasciando l’autocarro di sghimbescio, con una ruota posteriore sospesa nella profonda voragine che s’era aperta sotto il peso del carico trasportato.   Quando, con molta fatica, liberarono il camion, il papà studiò a lungo la situazione del nostro cortile. La voragine era bellissima da vedere: un buco largo più di un metro e mezzo, foderato di mattoni e ornato da una spirale perfetta di pietre sporgenti che scendevano avvitandosi verso il fondo,
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  Carote Una cosa Dario ed io mangiavamo malvolentieri: le verdure.   A tavola fingevamo di non vedere l’insalata, o i pomodori, di cui a Villabalzana c’era dovizia. Per me non esistevano nemmeno le carote, mentre le erbe cotte, ma anche le zucchine e i fagiolini, mi stimolavano un senso di nausea che non prometteva nulla di buono.   Mangiavamo invece frutta in gran quantità, ma solo se potevamo coglierla direttamente dall’albero, quando era più calda e profumata. Quella ben sistemata sul vassoio che le mamme ci mettevano davanti, sulla tavola, aveva qualcosa di vecchio, di morto, che proprio non ci piaceva. Restavano lì le ciliegie, i fichi, le pesche, le albicocche e le susine, tutta quella grazia di dio che gli alberi sparsi negli orti o nei campi offrivano in quantità. A luglio venivamo spediti, per tre settimane, al campo scout. Quasi vita militare: obbedienza e silenzio! A pranzo, ai lupetti non davano la frutta. Solo la domenica venivano distribuite le mele.   Erano il segno de
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  TON 618 Devo scuotermi, e farmi venire qualche idea. Ci sto pensando da un po’, nel dormiveglia, ma mi pare d’aver già esplorato ogni avventura della mia infanzia, dei giorni di scuola, ed anche di quelli d’Università. Argomenti esauriti! Nulla posso più recuperare dai ricordi della mamma, del papà e della Gemma. Nemmeno i miei fratelli, i cugini e gli amici di un tempo, mi offrono qualcosa. Sono avari, oggi! Ho esaurito anche gli spunti che mi vengono guardando i muri di casa.   Evidentemente c’è un limite per ogni cosa.   Forse è il momento di prendermi una vacanza … si, buona idea la vacanza, rallenterò coi post . Forse ne basta uno alla settimana. Mi vien da ridere all’idea di aver nulla su cui scrivere . Potrei scrivere proprio del nulla! Non sarebbe la prima volta. Un giorno a lezione ho parlato per un’ora intera di Hawking e dei buchi neri , di cui quasi nulla si può sapere. È un argomento su cui, evidentemente, ho la tendenza a tornare. Devo darmi una mossa. Mi spiacerebbe
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Verba volant M’è capitato di vedere un filmato organizzato come taccuino di viaggio d’un signore che era alla ricerca degli aspetti poco conosciuti dell’odierno Giappone. A Tokyo, città tra le più moderne al mondo e nello stesso tempo tra quelle più legate alle antiche tradizioni, il nostro esploratore s’è imbattuto nei fagioli Azuki . Si tratta di una varietà singolare di piccoli fagioli di colore rosso acceso. La singolarità di questo legume sta nel fatto che, cotto, ridotto in polvere e mescolato con lo zucchero, dona una pasta profumatissima che viene spalmata sui dolci, come fosse cioccolato. Sono rimasto esterrefatto. M’è subito tornato alla mente mio cognato Carlo, stupito di come la mia mamma servisse i fagioli: lessati, scolati e conditi con olio, aceto e sale.   Si fa così, Franco, mi disse un giorno. Recuperò dalla pentola di cottura alcuni mestoli abbondanti di fagioli, mantenuti nel loro sugo di bollitura, vi affettò dentro, fine fine, una mezza cipolla e poi via con l’oli
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  Ordine Non sappiamo più dove metterli. Eppure quasi mai resistiamo alla tentazione. Di fronte ad un bel titolo, ad una presentazione interessante o ad una copertina accattivante, cediamo e un nuovo libro ci entra in casa. Ne abbiamo discusso a lungo.   Si parte con una affermazione, quasi categorica: i volumi, nelle librerie, vanno sistemati accostati l’un l’altro, col dorso in verticale!   Segue la difesa: però, se non c’è più posto sugli scaffali, bisognerà pur metterli in orizzontale, appoggiando gli ultimi arrivati sopra agli altri, quelli più vecchi, e già bene ordinati verticalmente.   Obiezione: non è solo una questione estetica ; ce n’è una anche pratica ! Come li ritrovi in questa confusione, che non è solo d’orientamento? Ordine : un tema su cui sempre si combatte, in famiglia. Abbiamo anche inventato nuovi concetti per dirimere la questione … L’ordine strutturale è quello per il quale tutti gli oggetti occupano alla perfezione lo spazio disponibile. Apri uno sportello, e
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  Sassi Al mercatino delle cose vecchie, in Prato della Valle, moltissimi anni fa scoprii un banchetto d’un signore che vendeva pietre lavorate. Mi innamorai subito delle uova.   Erano fatte con una infinità di minerali diversi: un trionfo di colori, una quantità di nomi scientifici che per un po’ mi convinsi di poter ricordare. E poi … le provenienze erano le più disparate,   dai quattro cantoni del mondo, dall’Antartide a Terranova, dalla Cina al Messico.   A guardarle, lucide e variopinte, a toccarle, ad ascoltare chi mi raccontava dove erano state scavate, mi pareva di poter diventare, spendendo poche lire, padrone del pianeta, della sua storia, dei segreti che la Terra tiene nascosti in grembo. Comperai così un paio di quelle uova. E non finii più. Ora al mercatino si trovano perlopiù pietre lavorate a sfera. Forse sono più eleganti; di sicuro sono più facili da lavorare, e c’è meno spreco, mi suggerì il venditore. Ma la forma dell’uovo era importante, per me. È un simbolo, come d