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Visualizzazione dei post da giugno, 2022
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  Cavalloni Quando si andava al mare insieme, Giovanna, Dario ed io facevamo a gara per saltare i cavalloni .   Erano le solite onde dell’Adriatico, ma quando il vento era un po’ più teso del solito, in prossimità del bagnasciuga raggiungevano altezza quasi eguale alla nostra. Attenti, bambini, gridava allarmata la zia, pronta a portarci a riva. Nessuno l’ascoltava: per noi quello dei giorni ventosi era il bagno più bello della stagione.   Era il gioco più entusiasmante, da ricordare, arricchito di mille particolari e di fantasia, la sera, prima di addormentarci.   Attimi di pura felicità. Franco
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  Tesori Mi è stato subito simpatico. Fu un attimo, e lo vidi ammiccare, proprio a me, tra le cianfrusaglie d’una bancarella al mercato delle robe vecchie , in Prà della Valle. Da poco ero diventato zio, e pensavo di scriverci una storiella per qualche nipotino.   Lì per lì non me ne è venuta l’ispirazione. Ed il tempo di quei nipotini è passato in fretta. Molti anni più tardi ho mandato una favoletta alla bimba di un’amica.   Non credo sia piaciuta.   Forse a lei, e alla mamma che gliela leggeva, mancava la fantasia e non hanno capito che la paletta serve agli gnomi per seppellire i loro tesori.   Lo sanno tutti!   Li nascondono sotto terra, in una pignatta di ferro, giusto dove nascono gli arcobaleni. Ora sono nonno. Devo spiegarlo bene ai miei nipotini, quando … chissà quando … vorranno ascoltare le mie storielle.   Altrimenti non diventeranno mai ricchi! Franco  
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  Larice Dovrebbe essere considerato un campione tra gli alberi.   Ma viene sempre sistemato tra le riserve, mai nella squadra che conta, dove invece figurano le farnie, le picee e gli abeti, anche i faggi, alberi che hanno fatto la fortuna di alcuni Paesi, consegnandoli alla Storia. Il larice forse nemmeno se ne ha a male. Pochi ne parlano e ne scrivono. Anche per questo sembra che se ne stia in disparte, solitario. Ho trovato, però, un poeta occitano che fa raccontare ad un larice la sua vita. Almeno per questo mi sembra che il larice sia il primo albero a figurare a pieno titolo nella letteratura! È un pioniere. È il primo a conquistarsi uno spazio in alta quota, a porre radici là dove il gelo morde, ma il ghiaccio cede un palmo di roccia sgretolata, una fessura cui aggrapparsi. Cresce bello, maestoso, solenne, e dona una chioma leggera dall’ombra vaga e dai colori cangianti dal verde all’oro, prima di spogliarsi per l’inverno.   Resiste alla neve, anzi, regala sicurezza agli uomini
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  Leggende Vittore e Corona. Il santuario dei martiri è vecchio di mille anni, e già questo lo avvolge di fascino, e di mistero. Arroccato sul monte, lo si raggiunge a fatica. Arrivarci a piedi, specie d’estate, è una penitenza: ci si santifica già solo salendo. L’eremo riempie il visitatore di stupore, e di soggezione. Per chi crede ai miracoli, come quelli raccontati dagli affreschi che ornano il chiostro, quel luogo alimenta la fede, e la fantasia. Si narra che i corpi dei Santi siano stati portati fin sotto il monte su un carro trainato da cavalli. I cavalli si rifiutarono d’affrontare la salita, resa impegnativa anche dalla pioggia e del fango. Giunse una vecchietta, con due misere vacche, e tra l’ilarità dei presenti propose di aggiogarle al carro al posto dei cavalli.   Abbiate fede, disse.   Senza sforzo, le vacche salirono il monte, lasciando le loro impronte nel fango, che in un attimo si trasformò in roccia. Le impronte si vedono ancora oggi. Qualcuno si stupisce, come fecer
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  Skateboard Ma quali anni ’70! Addirittura scrivono che in Italia arrivò nel ‘77. Lo skateboard l’ho inventato io, nel 1950, o forse nel 51! Ed era proprio magnifico!   Non mi lasciavano usare i pattini a rotelle dei miei fratelli: le tue scarpe sono troppo piccole per poter essere fissate sugli schettini … dicevano.   Era vero; per quanto stringessi le ganasce e accorciassi l’asse centrale, che era un tubo telescopico tra le ruote davanti e quelle di dietro, le mie scarpette non potevano essere allacciate su quegli attrezzi.   Ed io mi disperavo a sentirmi escluso dal gioco del momento. Però … in bagno c’era la grande cesta della biancheria pronta per il bucato. Aveva un grande coperchio, robusto e leggero, anch’esso di vimini. Fu un attimo … lo staccai dalla cesta grazie al temperino del papà. Nessuno se ne accorse, almeno per cinque minuti. Recuperai un pattino: lo allungai e lo allargai il più possibile. Ci appoggiai sopra il coperchio in vimini. Ci stavo giusto giusto, sdraiato
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  Disegno Ti metto in riga ! Gridava il papà quando combinavo qualche pasticcio. Forse due o tre volte al giorno. Ero tranquillo: sulla sua scrivania aveva solo un righello e un paio di squadre, in legno bicolore. Bellissime. Ho potuto conservare solo una di quelle squadre, che tengo con ogni cura tra i suoi strumenti di lavoro, un ricordo fatto di bussole, calibri, regoli, compassi, goniometri … . Una bella riga, rigida e lunga, l’aveva però mio fratello.   Gli serviva per il corso di disegno, ma doveva usarla anche a casa.   Per tracciare con facilità linee parallele, impiegava uno spago, fissato al tavolo del salotto con delle puntine da disegno. Lo spago passava intorno a quattro piccole carrucole avvitate alla riga, che così poteva muoversi in su e in giù restando sempre ortogonale alla linea di scorrimento.   Una figata!   A parte i buchi delle puntine sul tavolo.   La mamma però non protestò mai. Lo lasciava disegnare. Quando però incisi il mio nome sul piano di noce del tavolo,
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  Tivù Quando il parroco si accorse che la sera del giovedì il suo gregge seguiva una brutta via, quella del bar, fu preso dallo sconforto.   Perché frequentate quei luoghi del vizio e del peccato? Tuonava dal pulpito, la domenica. Come avrebbe cantato De André, la risposta giusta gliela dette una vecchina, in confessionale: Lascia o raddoppia? Bisbigliò; ha presente Mike Bongiorno? Un bell’uomo, sa … Il parroco proprio non sapeva; dovette informarsi. E in un attimo trovò la soluzione al suo problema pastorale.   Con le offerte per la chiesa comperò il televisore più grande venduto in città; un elettricista adattò l’impianto acustico. Il giovedì sera radunò il suo gregge al cinema parrocchiale. Programma rivoluzionato: un film e, durante l’intervallo, all’ora giusta, Lascia o raddoppia? Con l’audio al massimo della potenza, anche se lo schermo era appena visibile da chi s’assiepava in fondo alla sala, l’emozione per il raddoppio delle vincite era davvero corale, e palpitante. Mille, du
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  Ebay Il tempo non passava mai quando, da bambino, finivo in letto, ammalato.   Avevo a disposizione un po’ di fumetti, da sfogliare per guardare le figure: non sapevo ancora leggere.   Poi c’era la scatola delle cartoline che la mamma aveva conservato fin da quando era piccolina. Un tesoro di paesaggi, che mi portava lontano, in terre misteriose sulle quali interrogavo la mamma.   C’era poi il gioco delle carte, rubamazzetto, briscola, scopa   … ma mi stancavo presto, e poi si gioca malissimo nel letto, con le coperte che si muovono e mescolano il mazzo nel momento sbagliato. Soprattutto mi piacevano tre grandi libri sugli animali di paesi lontani. Avevano bellissime figure, incisioni d’altri tempi. Li sfogliavo con molta attenzione, e anche con un po’ di tensione, perché le immagini mettevano in risalto la ferocia di certi animali, come i leoni, i gattopardi, i pescecani …   Quanto ho sognato su quelle figure, e quanta nostalgia di quei libri! Poi, per caso li ho trovati in vendita
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  Nonno Era posata su di un mobile, in tinello.   Ci arrivavo a stento a guardarla posando il naso sul ripiano.   Nelle esplorazioni di casa era però una delle mie scoperte preferite. Avvicinando una sedia al mobile e montandoci su, in piedi, per un attimo riuscivo anche a toccarla e a studiarla con attenzione. Una statuetta di legno, molto scuro, forse per gli anni, o forse per la cera con la quale la Gemma ogni tanto l’ungeva e poi lo lucidava. Così il legno rivive, diceva la Gemma. A me sembrava solo unto, ma dopo sapeva un buon profumo. Mi piaceva. Mi piaceva anche il soggetto: un bambino piccolo, con la pipa in bocca.   Un’eresia … una cosa da chiarire con la mamma, prima o poi: perché non posso fumare anch’io? Oddio … quel bambino era seduto sulle ginocchia del nonno, o forse della nonna … perché mai un nonno deve indossare il grembiule? Il viso mi pareva più da nonno, un nonno felice del suo nipotino, perché stava sorridendo.   Non mi passava per la testa che il nonno sorridesse
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  Che scatto! Era davvero simpatica, spigliata, spiritosa.   Una montanara tutta d’un pezzo, capace di camminare senza sosta per ore e ore restando fresca, come se fosse appena partita. In valle la chiamavano con un nomignolo poco femminile: doppietta . Non le calzava benissimo: il suo fucile aveva due canne sovrapposte: una sparava cartucce a pallini, l’altra proiettili per la caccia al camoscio che potevano colpire fino a mille metri di distanza.   Mille sono tanti, diceva, ma a cinquecento non sbaglio un colpo.   Ne avevano tutti grande rispetto; un po’ per timore dei suoi muscoli scattanti, e per il suo carattere sicuro e determinato; un po’ per il fatto che in paese era l’unica che aveva affrontato l’Università. Con successo. Insomma, una donna tosta, davvero un bel tipo. La seguivo mentre preparava la tesi … in realtà faticavo a starle dietro per boschi e per sentieri in quota. Quando correva cinquecento metri più in su, davanti a me, l’avrei fermata volentieri con una schioppett
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  Fronte Era un paesino di quattro anime. Contate. Quando arrivavamo noi, lupetti e scout del gruppo di San Pietro, ne restava solo una: un vecchione malandato, con una lunghissima barba. Se gli parlavi, non rispondeva; solo una volta brontolò qualcosa in una lingua incomprensibile.   Qualcuno disse che era tedesco. Anzi, cimbro , che poi era tedesco, ma antico. Lì, dove ci eravamo accampati, i grandi in tenda, i piccoli in un fienile posto sopra una stalla, s’era combattuto durante la Grande Guerra.   Era come se il vecchio facesse ancora la guardia alla postazione che gli era stata assegnata: stava sempre seduto davanti alla porta di casa, gli occhi attenti, e fissava qualcosa oltre il tetto della stalla che ci era stata affittata. Guardava forse il piccolo cimitero di guerra sul colle vicino al gruppo di case: cento tumuli di terra in gruppi di venticinque; nel mezzo una croce. A turno si andava a cavare le erbe dalle tombe e a poggiarvi un fiore.   Il vecchio, un giorno, parlò in
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  Frinire   Mi accompagnano da tutta la vita. Da bambino erano la voce che ascoltavo sia quando, con la fantasia, giocavo da solo nella corte e tutti intorno dormivano, sia quando mi obbligavano in letto e restavo lì, a guardare la polvere che danzava nelle lame di sole sciabolante attraverso le imposte socchiuse. Le cicale cantavano assordanti, ovunque, sugli alberi intorno a casa. Zittivano solo per un attimo, quando ci passavi sotto, molto vicino. Dopo un po’ nemmeno più ci facevi caso. Una cicala aveva molto apprezzato la nostra piccola canadese , al mare, piantata sulla sabbia in prima fila tra quelle del camping . Lì, tra la tenda e il telo di copertura antipioggia, la cicala aveva messo casa. Inneggiava al mattino, quando il primo sole arrivava fino a noi.   Evviva la vacanza: la sveglia più efficace che io abbia mai avuto con me. Quaranta anni più tardi, in altro camping , sotto la pineta, le cicale ci sono state compagne di ricordi. A chiacchierare con noi, stesi nel riposo de
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  S uggestione È di sicuro una parola dal senso un po’ vago, sfumato, nebuloso. Indica una idea, un comportamento, una opinione o una credenza guidata o stimolata dall’esterno.   Insomma, una suggestione fa dimenticare la ragione a vantaggio di impressioni soggettive, quasi sempre prive d’un fondamento, di un aggancio logico con la realtà.   Concetto non semplice da intendere.   Eppure, guardando un quadro, ascoltando una musica, o seguendo la recitazione d’una poesia, si coglie appieno il significato della suggestione. Basta infatti lasciarsi trascinare dalle luci e dai colori che sulla tela creano forme e movimenti, oppure abbandonarsi alle vibrazioni trasmesse dall’orchestra, anche se si è digiuni di musica, oppure ancora farsi avvolgere, ognuno a modo proprio, dal messaggio magicamente portato dalle parole del poeta. Non ho mai incontrato qualcuno intento a dipingere i sentieri intorno alla casa dei nonni, sul monte, e l’incantato degli alberi curvi e sofferenti sotto il sole dell’
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  Stop Il papà sorrise mettendosi in bocca la Stop con filtro che sempre fumava subito dopo mangiato. Era il segnale che avrebbe raccontato una storiella, un ricordo che lo rallegrava. Il papà accendeva una sigaretta quando usciva di casa per andare a scuola; gli durava fino all’istituto. Quel giorno il vento gli soffiava sul viso, e il papà teneva la sigaretta all’incontrario, come aveva imparato da militare, protetta nella mano in modo che il vento non la consumasse troppo in fretta.   Venne raggiunto da un collega. Mi fai accendere? gli chiese.   Il papà accese un fiammifero, che in un attimo si spense.   Provò con un secondo, che durò meno del primo.   Fammi accendere con la brace della sigaretta, gli propose il collega.   Il papà calcolò il danno che avrebbe subìto il mozzicone esposto al vento e rispose con un no deciso. Girati, allora, propose il collega tirando su il bavero del soprabito per far barriera, mettiti con le spalle al vento e accendi un altro fiammifero. L’impresa e
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  Bicicletta Ero troppo piccolo per avere una bicicletta tutta mia.   Così, per provarne una, in un attimo decisi che mi sarei arrangiato come potevo.   Un giorno, visto che non erano in casa, “chiesi” alle mie sorelle se potevo usare una delle loro.   Chi tace acconsente! Ripeteva spesso la mamma. Provai l’ebbrezza della velocità un pomeriggio, a casa dei nonni, mentre tutti pisolavano dopo il pranzo. Spinsi la bici fino al colmo del colle su cui si arrampicava la strada sterrata.   Mi sedetti a cavallo dell’incavo del telaio, poco sopra i pedali.   Affrontai la discesa con le mani ben salde sul manubrio, alte sopra la testa.   Non riuscii a raggiungere i freni a bacchetta , e la mia corsa terminò oltre la casa del nonno, in mezzo ai cespugli di more ai margini dei campi. Come dire … l’arte che si incarna, aiutata da cento spine di rovo! Franco
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  Imperina Era poco più di un pulcino quando il suo nido fu avvolto dalle fiamme. La trovarono i forestali, e se ne presero cura come fosse un uccellino caduto a terra prima dell’involo. Era cieca, e non sarebbe sopravvissuta senza la mamma. M. non aveva certo le ali, né gli artigli e il becco adunco di un’aquila, ma riuscì a far da mamma alla povera … Imperina, La chiamarono così, come la valle in cui le fiamme le avevano divorato la casa. Quando ha fame, Imperina grida come un’aquila, ed M. corre a sfamarla.   Può farlo solo lei: di mamma ce n’è una sola, e l’aquila la riconosce dalla voce, dal respiro, o forse dall’odore. A chiunque altro non è concesso avvicinarsi.   Lei è lì, in alto, nella sua immensa voliera, fiera come fiere sanno essere le regine del cielo. Si sa, amano fare la doccia, le aquile. Adorano lo scroscio delle cascate sulle penne, e poi asciugarsi al sole. Imperina, col suo richiamo, che tutti riconoscono, fa sapere quando è il momento della pulizia. S’accontenta d